Ordet: il mistero di Dio visto da Dreyer
di Donciccio
Una sera di dieci anni fa con un mio amico decidiamo di andare a vedere un film che solo per quel giorno proiettevano al Lubitsch, cinema fuori mano, insomma runni persi i scarpi u Signuri. E’ una occasione unica per vedere al cinema un film di Carl Theodor Dreyer: “ORDET”. Sapevo che il regista Danese era di grande importanza. Conoscevo il più famoso “La passione di Giovanna D'Arco”, film muto del 1928 che ha fatto la storia del cinema. Avevo pure visto in cassetta “Dies irae”. Ma di questo non sapevo nulla, e neanche mi ero preso la briga di curiosare. Entriamo e già cominciamo ad avere qualche perplessità dettata dal fatto che gli spettatori eravamo solo noi due. Si tarda ad iniziare. Pensiamo che magari aspettano che arrivi qualcun altro. Ma quando mai. Comincia finalmente la proiezione. Con mia sorpresa vedo che il film è in lingua originale e con i sottotitoli in italiano. Sorpresa negativa, perchè odio guardare e leggere. Pazienza... Ormai ci siamo e andiamo avanti. Il film dalle prime battute mi prende. Fotografia in bianco e nero stupenda e dialoghi essenziali. Ritmo lento e cadenzato, piani sequenza fissi e lente panoramiche. Un viso, l'interno di una casa ordinata e pulita, i pochi gradini di una scala. La storia si sviluppa in una fattoria dello Jutland dove vive il vecchio Borgen con i suoi tre figli: Mikkel, sposato con Inger, in attesa del secondo figlio, Johannes, diventato pazzo a causa degli studi di teologia, e Anders, il minore, innamorato della figlia del sarto del villaggio. Sulla fattoria si abbatte la tragedia: Inger muore di parto, Johannes sparisce e il sarto nega il consenso alle nozze per divergenze religiose con Borgen. Non vi racconto tutto perchè il finale del film è una delle più belle pagine che il cinema abbia mai scritto. E’ un film sulla fede, sulla religione, sulla vita e sulla Parola di Cristo che viene considerata pazzia...tranne che da una bambina. Un film mistico che mette in evidenza la grande differenza tra Fede e Religione. La prima, vero mistero che può far entrare in comunione, la seconda, causa di divisioni e diatribe che allontanano da Dio. Dreyer ha una capacità di afferrare il mistero e l’orrore della morte che suscita una reale commozione. E commoso sono uscito dal cinema, dopo un inizio difficile per via della lingua originale e per la lentezza che dapprima scoraggia, ma che poi capisci essere funzionale al messaggio che l’autore vuole trasmettere. Un vero capolavoro che oggi sarebbe impensabile fare...in un’era dove si corre e non ci si ferma mai a riflettere veramente sul mistero di Dio e della vita. Leone d’oro alla mostra di Venezia del 1955, consiglio, per i coraggiosi, di vederlo in originale con i sottotitoli. Mi capitò, qualche anno dopo, di vederlo su Raitre in Italiano e non mi fece lo stesso effetto.
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