Il male secondo i fratelli Coen
di Davide
Non è un paese per vecchi è un
bel libro di Cormach Meccarti di qualche anno fa, un testo che, attraverso la
storia di un cacciatore che trova una valigetta piena di soldi e che da allora
diventa a sua volta preda di un chiller psicopatico, sviluppa una profonda riflessione sulla
violenza e sul male. Ma è anche il titolo di un
bellissimo film, tra l’altro pluricandidato ai prossimi oscar, targato fratelli
Coen, qui per la prima volta alle prese con un adattamento cinematografico. Il supporto di una struttura così
solida e profonda ha chiaramente giovato al cinema dei Coen, esponenti di
spicco del cinema indipendente e ribelle, nei cui films precedenti,
dall’esordio con Blood Simpol fino al premiatissimo Fargo, la violenza è sempre
stata il tema conduttore, trattata con grottesca esagerazione, esercitata da
personaggi fuori dalle righe ed estremi, quasi comici (basti pensare al
mostruoso centauro che insegue Nicolas Cheig nel folle ed indimenticabile
Arizona Iunior). In quei films la trama, lo
svolgersi degli eventi, l’esasperazione della manifestazioni violente
lasciavano intravedere, attraverso una lettura a più piani, la critica del male
dove invece l’impatto immediato né esaltava la spettacolarità e, per certi
versi, il fascino. In questo nuovo film siamo, invece, chiaramente di fronte
alla manifestazione di una raggiunta maturità, il compendio di una poetica
cinematografica che qui trova la sua sintesi raggiungendo livelli altissimi. Non c’è ironia, nessuna comicità
o irriverenza, ma una raggelante rappresentazione del male, della sua
ineluttabilità e supremazia. La sua incarnazione è proprio quella del chiller,
un indimenticabile Havier Bardem, una vera emanazione degli inferi, una sorta
di fantasma, così è definito da un personaggio del film, inarrestabile, che
bracca il cacciatore, interpretato da Giosc Brolin, lasciando dietro di sé una
scia di sangue, morte e disperazione, travolgendo giusti ed ingiusti, in una
spirale di violenza che chiama altra violenza e coinvolge chiunque ne venga
lambito, distruggendo la sua vita e quella di chi gli sta vicino. E se i malavitosi che perdono la
vita vengono definiti dall’ anziano sceriffo, ancora un eccellente Tommi Lii
Gions (che continua ad inanellare personaggi e films eccellenti e tutti in una
stessa annata), periti di morte naturale, ovvero fisiologicamente alla loro
condotta di vita, il resto della umanità è appesa ad un filo, al caso, al giro
della moneta che Bardem lancia per decidere la vita o la morte di un
inconsapevole anziano negoziante, all’essere nel posto sbagliato al momento
sbagliato. A nulla serve la forza e l’esperienza del cacciatore, veterano del
Vietnam, la sua strenua resistenza, non lo salverà così come non salverà la sua
famiglia. Così come vana è la promessa di proteggerlo fatta dallo sceriffo alla moglie. E’, come detto in una battuta,
solo vanità pensare di fermare ciò che sta arrivando. La resa di Lii Goins, la sua decisione di
mettersi in pensione, è quella di una intera umanità che ha sopravvissuto ed è
testimone dell’orrore, che ha sperato fino all’ultimo di poter incidere sul suo
destino e su quello dei propri cari, che ha sperato, come afferma alla fine del
film, che Dio entrasse nella sua vita ma che non lo biasima di non volerci
avere a che fare, con questo mondo dominato dall’odio e dal male. Non c’è lieto fine, non è un
paese per vecchi, non è un paese per deboli e per buoni. E qui, finalmente, non
puoi cambiare canale, non puoi distogliere lo sguardo, non ti puoi vietare di
pensare. Un film senza speranza, crudo e
bellissimo, poetico ma non retorico che comunque non risparmia spettacolarità e
scene incalzanti, impreziosito da una regia e da interpretazioni di altissima
qualità. Tra i cattivi della vostra memoria troverete certamente subito un
posto d’onore a questo strano personaggio di Bardem, con dei buffi capelli a
caschetto, tocco d’autore dei due fratelli registi, ma dallo sguardo
raggelante, stralunato e allucinato. Strepitosi alcuni dialoghi,
sottolineati dall’assenza di colonna sonora durante l’intero film, così come la
fotografia del paesaggio della frontiera americana, arida e immensa come quella
cristallizzata nei fotogrammi dei grandi classici western, sfondo della eterna
lotta tra il bene ed il male. Non so se questo film stanotte vincerà uno
degli otto oscar a cui è candidato, ma sicuramente lascerà una indelebile
traccia in chi lo ha visto o lo vedrà, soprattutto se è un “fissa” come me, se
è uno che crede in un mondo migliore ma che vive di giorno in giorno in un
mondo sempre di più peggiore, che guarda sempre più ad un tempo che fu e spesso
chiude gli occhi per la paura del tempo che verrà.
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