Don Pino Puglisi, Martire di Cristo e Beato
di Fra' Domenico Spatola
Era il 15 settembre
1993. Sembrava un giorno come i tanti, che, nel quartiere “Brancaccio” a Palermo,
scorrevano con i problemi di sempre.
Padre Puglisi,
modesto e antidivo parroco tendente al dialogo con tutti, quel giorno festeggiava
il compleanno, alla sua maniera: lavorando. Il “Centro Padre nostro”, da lui
voluto per raccogliere i tanti ragazzi della zona, spesso in difetto con gli
obblighi scolastici, e precocemente iniziati a faccende dalle quali avrebbero
fatto meglio a stare lontani, viveva anche esso un giorno di normalità, salvo a
volere ricordare con gratitudine gli anni del fondatore, costretto ogni giorno
a tessere il vasto quanto popoloso territorio della parrocchia dedicata a San
Gaetano, per convincere genitori e ragazzi a non disertare la scuola ed evitare
una condizione di degrado altrimenti inevitabile. Erano gli “anni del terrore”,
in quello che qualcuno angosciosamente aveva definito “il triangolo della
morte”, e nell’occhio del quale ricadeva in pieno anche il campo operativo di
don Pino.
«Troppo si agita,
questo prete! Ma chi pretende di essere? Qui comandiamo noi e i ragazzi ci
servono per i nostri affari!»
Con queste o simili
parole, don Pino veniva fatto oggetto d’intimidazioni da chi, in quel
frangente, reggeva, tenendole sotto scacco, tante famiglie.
Don Pino, che non era
ingenuo e ben conosceva i rischi del suo operato, sapeva di sfidare il lupo
nella tana o di mettere la mano nel covo dei serpenti.
Da meno di un anno a Capaci
era saltato in aria con gli uomini della sua scorta Giovanni Falcone, e, due
mesi dopo, stessa sorte era toccata, in via D’Amelio, al giudice Borsellino e a
chi lo accompagnava.
I “baluardi della
legalità” si erano come sbriciolati, e il terrore sulla città di Palermo pesava
come una cappa senza soluzione. Ai più sembrò che si fosse definitivamente
spenta la legalità e con essa «la speranza dei Palermitani» come scrisse tempestivamente
un anonimo dieci anni prima, quando era stato assassinato Carlo Alberto Dalla
Chiesa (1982) altro eroe tra i tanti da non dimenticare, o come si espresse il
giudice dell’antimafia dott. Antonino Caponnetto, abbandonato a momentaneo e
giustificato sconforto, quando fu ucciso Paolo Borsellino (1992).
In verità qualche segnale
positivo nel frattempo sembrava arrivato, con l’assicurare alla giustizia
alcuni mandanti ed esecutori di quei misfatti. Don Pino, tuttavia, non si faceva illusioni e, con la forza sovrumana del ministero di
Sacerdote e di uomo dello Spirito, cercava infaticabilmente il dialogo anche e
soprattutto con coloro che volevano intimidirlo senza mai però venire allo
scoperto, consapevole che anche questi tali andavano ricondotti a Cristo. E
quando, a sera di quel giorno, dedicato come i tanti all’umile quanto efficace
suo ministero, scorse i sicari, venuti per ucciderlo, accogliendoli con un
sorriso, disse loro con ineffabile serenità: «Vi aspettavo!»
Li “aspettava” come
un padre accoglie i figli cui vuole donare, al di là di ogni loro gesto, la
speranza. Fu “il suo miracolo”, quello di trasformare gli assassini in pentiti,
così che uno di essi, a giustificazione del suo nuovo sentimento, ebbe a
deporre durante il processo che «quel suo sorriso si era talmente impresso nei
miei occhi che non lo dimenticherò mai!».
A caldo, fu
comprensibile della Chiesa locale e della cittadinanza lo smarrimento seguìto
al gesto criminale, e le espressioni di amarezza e di speranza del compianto cardinale
Salvatore Pappalardo, anch’egli in prima linea per la lotta in favore della
legalità, che strenuamente difese dal pulpito e in ogni maniera, senza tuttavia
mancare di sottolineare il suo dovere di
Pastore nel recupero anche dei figli degeneri.
Il martirio di don
Pino trasformò molte coscienze, invogliando al riscatto in nome di Cristo e
della Società, cresciuta nel frattempo più a misura d’uomo nella Chiesa palermitana
e in tutte le Chiese di Sicilia, le quali acquisirono più consapevolezza di azione
nel sociale e di guida sul territorio per la promozione umana nel senso più
globale.
Fu “il Testamento
spirituale” del nostro Beato la sua fedeltà al Vangelo e alle “Beatitudini”
tradotte in termini di conversione radicale al Vangelo.
La Beatificazione del
Servo di Dio don Pino Puglisi è così il riconoscimento ecclesiale, doveroso per
il suo inequivocabile gesto d’amore per Cristo e per la Chiesa. L’ermeneutica
del suo gesto va estesa all’intera sua esistenza di “uomo dello Spirito”.
La vita di Padre
Pino, maturata fino «all’amore più generoso di chi dà la vita per i fratelli» e
coronata dal martirio, è comune riferimento per un maggiore impegno nel
territorio a realizzare i valori di onestà che costituiscano il lascito
credibile per le giovani generazioni. Il messaggio non conoscerà ostacoli,
perché come amava ripetere Falcone: «Potete ucciderci, ma le nostre idee continueranno
a camminare sulle gambe di tanti altri uomini».
Il ventennio,
trascorso da quel fatidico anno 1993, non è passato invano se oggi possiamo
celebrare il riscatto da quella e da tutte le altre morti ingiuste, le quali,
senza annientare gli eroi, ne hanno reso più luminoso il senso dell’offerta per
le sfide attuali e future per la Sicilia, chiamata a liberarsi da annose
schiavitù e da servilismi del malaffare che hanno causato tragiche quanto
perduranti conseguenze come quella, endemica e non ultima, della
disoccupazione.
Il felice evento
della Beatificazione di Don Pino, atteso e propiziato dalle Chiese di Sicilia e
dal Popolo, possa costituire la definitiva svolta per la quale tanti Martiri,
anche laici, hanno saputo come lui offrire coraggiosamente il sangue per
fondare nella nostra Terra “la normalità” richiesta ad ogni convivenza cristiana
e civile.
|