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26 ottobre 2008

COCCODRILLO(NE) PER UNA LIBRERIA

di Davide



La libreria un tempo era un negozio molto particolare, quasi un tempio, un luogo per colti lettori o studiosi sfigati, dove ci si andava solo per acquistare e il rapporto tra l’acquirente lettore e l’oggetto del desiderio, il libro, era irrimediabilmente mediato dal negoziante al di la del bancone. Dietro le sue spalle i libri, accatastati, impilati negli scaffali, quasi celati alla vista indiscreta e volgare del popolo guardone.

Poi, la novità.

In principio fu la Libreria Feltrinelli, quindi Sellerio vicino a piazza Croci, Flaccovio in via Ruggero Settimo e poi tante altre. La libreria si era aperta, era esplosa ed i libri si erano sparpagliati per il negozio. Brillavano le copertine, illuminate e finalmente svelate, potevi vedere, toccare, sfogliare, perché no annusare i libri ormai liberi dalla prigione polverosa dei ripiani, divenuti veri protagonisti, perdendo la loro sacralità e scendendo tra i mortali proponendosi come oggetti di consumo del supermercato dell’intelletto.

In certi casi magari potevi anche leggerli, magari a rate. Certo quando al terzo, toh quarto incontro, ti rendevi conto che non c’era feeling lo mollavi senza troppe storie ma quando trovavi quello che faceva per te la cosa diveniva seria, la  relazione durava almeno un mese e, quando lo avevi finito, non potevi fare a meno di acquistarlo, di portarlo con te per rileggerlo con un gusto ed un piacere nuovo, come quando parti per una vacanza sulla tua isola preferita, alloggiando nella solita bella, accogliente casetta sul mare, vecchia compagna di tempi passati e comunque sempre nuova e calorosa.

Insomma la libreria è così divenuta un appuntamento fisso delle passeggiate, un posto dove trascorrere mezz’ora immerso in una realtà diversa, quella della letteratura e, soprattutto, della lettura, condizione quasi metafisica per i nostri tempi veloci; entrarvi significa abbandonare il mondo fuori e ritagliarsi un po’ di tempo per sé, volersi più bene, farsi una carezza e tuffarsi dentro i mondi e la vita di autori e personaggi dalle storie provenienti da posti lontani e fantastici.

Così anch’io, seppur pessimo lettore e scarsissimo conoscitore della letteratura passata e presente sono diventato un assiduo frequentatore delle librerie; all’inizio ho saltato un po’ qua e un po’ là in cerca del “mio” posto, quindi ho trovato la “mia” libreria.

La Mondadori di via Roma è diventato il mio appuntamento settimanale per diversi anni. Accompagnato da mia moglie, vera divoratrice di testi, elemento di compensazione culturale alla mia abulica ignoranza, ho “arato” metro su metro, tutta la superficie del negozio sostando di isola in isola, prendendo in mano libri di tutti i generi e tipi, dal best seller, al saggio sconosciuto, attirato da titoli e copertine (tra le più belle e curate quelle della casa editrice Guanda), sfogliando pagine e pagine, atterrito dalla loro quantità (non riuscirò mai a leggere un libro con più di 200 pagine!!!!) e dai caratteri (pessimi e repellenti quelli della Einaudi); soprattutto leggendo terze e quarte copertine, divenendo così un grande conoscitore di autori e storie senza in realtà averne mai letta una. Però, anche così, che fascino, che eleganza in quella carta, ruvida o satinata, lucida, colorata o giallastra. Quando aprivo le doppie porte a vetro dell’ingresso, mi sentivo a casa; salutoni dalla cassa dal “titolare” (prego gestore in franchising), magrissimo e sempre abbronzato, praticamente calvo, dallo sguardo un po’ allucinato, dal vestire e agire “alternativo” e dai modi informali e amichevoli. Con lui si era avviato un rito natalizio, quello della recensione – sfottò della strenna immancabile di Bruno Vespa, testo di culto di teledipendenti appassionati della politica “libera ed indipendente”. Particolarmente interessante fu l’anno in cui il libro uscì in versione deluxe con raccoglitore rigido in finta radica di noce, tipo sabot per giocate a carte, utilissimo a prescindere dal contenuto, ahimè francamente inutilizzabile per menti di ogni tipo e capacità. Altra mia tappa obbligatoria era il reparto ragazzi e bambini, “gestito” da una giovane ragazza con coda di cavallo a cui non sfuggiva una novità e che ormai conosceva i miei gusti e, soprattutto, quello dei miei figli.

Eh si, perché, questione non trascurabile, alla libreria Mondadori devo la formazione di giovani lettori dei miei due figli, che hanno prima devastato, leccato, stropicciato libri di tutti i colori e fogge, dalle copertine animate e sonore, salvati ogni volta a pochi centesimi di secondo dalla distruzione, poi hanno occupato con passione le piccole sedie colorate poste nella loro area ed hanno cominciato a leggere e leggere e leggere davanti ai miei occhi inorgogliti, atterriti, umiliati (dalla mia incapacità di lettore di gazzette dello sport).

Un altro “personaggio” imprescindibile era il mio concorrente di quiz preferito, un omino dall’età indefinita, tra i venti ed i quaranta, calvo con pizzetto e carnagione pallida da topo di biblioteca, timidissimo ma preparatissimo e soprattutto pronto alle mie richieste più folli e imprecise tipo “Ho sentito parlare di un nuovo libro, uscito da poco… ma no pochissimo… credo di un autore straniero, nordico, tipo olandese, un giallo o forse no, mi sembra pubblicato da Sellerio ma potrebbe essere Adelphi, certamente con la copertina gialla, ma no gialla gialla, insomma colorata…non è che per caso sa di che parlo”. Lui avrebbe certamente voluto rispondere, “Ma perché  cazz… non ti appunti quello che vuoi prima di partire da casa, non ti segni chessò il titolo, magari l’autore, ma è mai possibile che non c’è una volta che ne dici una giusta!!!!!!”, però scava scava con pazienza, alla fine trovava quello che volevo (ma che in verità non sapevo neanche io) e che, per esempio, era alla fine un libro Einaudi, dalla cortina bianca, pubblicato due anni prima da una famosa saggista americana.

Da tre giorni l’uso fatto sopra dei verbi tutti al passato è giustificato.

Infatti la “mia” libreria Mondadori non c’è più, ha chiuso per sempre per lascare spazio ad imponenti lavori di ristrutturazione di tutto l’edificio che fa angolo con Piazza S. Domenico, che un tempo ospitava la UPIM (a proposito ricordo che anni fa vi “rubai” assieme ad un altro “fissa” una racchetta da ping pong e… però, è un’altra storia) e che adesso si prepara a diventare la nuova sede della Rinascente. E’ un progetto di cui si parlava da qualche anno ma che improvvisamente, dopo un periodo di silenzio, è divenuto realtà con appena una settimana di preavviso, sancendo così la morte, non senza spargimento di sangue, della migliore, più accogliente e scomoda libreria della città.

Avrei voluto tributarle il mio omaggio molto prima, ma, sinceramente, dopo aver appreso la luttuosa notizia così per caso ed improvvisamente dopo una visita in cerca di libri da regalare, sono rimasto basito e ho rimosso l’accadimento.

Negli ultimi tre giorni di vita della libreria mi sono però ritrovato al suo capezzale andando via tra addii e libri scontati, ogni giorno pensando che fosse l’ultimo.

Ci eravamo ripromessi (io e la libreria) di non vederci martedì mattina, ultimo giorno, ma non sono riuscito a mantenere la promessa e sono comunque passato di lì senza entrare per osservarla per l’ultima volta con le vetrine colorate dai libri. Ci siamo salutati con un arrivederci perché, a quanto riferito, sembrerebbe che debba rinascere entro otto – nove mesi (mizzica una gestazione) a lavori ultimati anche se altrove, magari al piano terreno della Rinascente o forse a quello dei suoi vecchi locali, in via Ruggero Settimo dove aprirà un colosso inglese dell’abbigliamento “economico”. Sarà, ma forse per colpa del pessimismo cosmico siculo che non ci permette di guardare al di la di scadenze che superano la settimana o perché in Sicilia non c’è più definitivo del provvisorio, non riesco a colmare il mio luttuoso vuoto.

In una città i negozi vanno e vengono, tra fortune e fortunali, secondo un principio di evoluzione economica e di costume, cambiamenti che segnano nuove tendenze di modernità. Però è certo che quando da città come Palermo spariscono “luoghi” che hanno fatto la sua storia e la sua cultura contemporanea, le sue tendenze, come Elleppì, Spadafora o Mondadori ma anche i grandi storici bar, da Rooney e l’Extrabar, lo strappo lascia il segno e la cicatrice resta profonda. Al loro posto una vera invasione di negozi di abbigliamento dalla “personalità” impalpabile, dalla presenza trascurabile, dalla qualità discutibile o dai prezzi inavvicinabili ricoprono col loro cattivo gusto gli spazi della memoria di una città frutto della nuova tendenza dell’apparire e dell’omologazione griffata dove la cultura si scriva con la K degli SMS.

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Altra novità sul fronte dei pezzi di storia commerciale palermitana: sembra stia per chiudere anche il mitico Hugony, di via Ruggero Settimo.
Non sarà triste come la scomparsa di una libreria, ma era una istituzione. Ci andava pure mia nonna!

Marcello

03/11/2008 17:21:51


che tristezza!!! Questo più che un articolo da fissa mi sembra un articolo da 2 novembre . E ...del resto quasi ci siamo.

rosalba

31/10/2008 18:08:11


 
 

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