Il titolo dell’articolo allude alla
svolta che la monografia di un non più giovane critico milanese
impresse a suo tempo nel variegato e contrastato dibattito ciarliano,
ravvisando l’influenza decisiva del sommo Marius Marenco su Carlo
Ciarla. Questi ebbe la fortuna di conoscere il sognante e celeberrimo
Marius nell’occasione di una sua conferenza a Palermo. Il
giovinetto era alle sue prime prove poetiche, mentre il Maestro,
invero, aveva già iniziato la sua parabola discendente. Il fatto è a tutti noto, perché
occupò a lungo la pagina culturale del “Sicilia”. Il nostro
audace giovane raggiunse il grande Marius mentre questi con andatura
svagata e molle, assorto o forse semiassopito come al suo solito, si
lasciava alle spalle la sala delle conferenze e, sbadigliando e
sbagliando direzione, si stava dirigendo alla portafinestra che dava
sulla scala antincendio. Detto per inciso, la costruzione di questa
si era interrotta un lustro addietro mentre era arrivata al secondo
piano, e qui si era al quinto…). Senza avvisarlo dello sbaglio, per
il timore reverenziale di non contraddire l’augusto vate, il Ciarla
gli si parò di fronte e proferì senza indugi la sua lirica
preferita. Marius Marenco si fermò, ascoltò e poi proferì le
lapidarie parole, che cambiarono la vita del Nostro: “Giovanotto,
Lei ha stoffa da vendere! Vadi [sic!] avanti così”. I numerosi
critici che osservarono la scena furono impressionati dall’evento,
e iniziò la contesa letteraria che per anni ha contrassegnato la
vita intellettuale della città, imprimendo laceranti
contrapposizioni anche nelle Facoltà di Lettere e di Magistero
dell’Ateneo panormita, ove alcuni di costoro insegnavano. In
sintesi, si formarono due partiti, pur frastagliati e divisi al loro
interno. Il primo, di impronta spiritualista e metafisicheggiante,
ravvisava in quel ‘vadi’ l’intuizione folgorante, al limite
della chiaroveggenza, dell’influenza profonda che la Scapigliatura
milanese avrebbe esercitato nel quarto dei sette periodi
concordemente attribuiti all’itinerario ciarliano. Il secondo
partito, che raccoglieva i critici di area marxista, scorgeva in
quello stesso ‘vadi’ una ironica e velata stroncatura, temperata
dall’indicazione positiva contenuta nella risposta del vate:
l’indicazione dei fiorenti sbocchi che allora si presentavano a chi
avesse intrapreso il commercio delle stoffe in Polentonia. Va detto
che vi fu anche una voce isolata in quel dibattito, che però non
ebbe seguito. Un oscuro commentatore, costretto a lasciare poi
l’Isola non avendo trovato alcuna collocazione nell’ambito della
critica letteraria siciliana, aveva preso visione delle pagelle
scolastiche del Marenco, concludendo che i numerosi 3 e 4 in Italiano
potevano suggerire l’ipotesi di una sorprendente ignoranza
grammaticale del pur grande Marius, senza dunque bisogno di cercare
altri reconditi significati in quella risposta.Tuttavia l’articolo dello sconosciuto
critico non produsse alcuna svolta, perché nel frattempo un altro
studioso milanese aveva dato alle stampe la sua terza, ampia quanto
fitta, monografia, intitolata “Il giovane Ciarla”. La tesi di
fondo è presto detta: tutta la poetica ciarliana sgorgava da
quell’incontro e dalla crisi che tosto ne seguì: una crisi da cui
si originò nell’immediato la seconda fase dell’itinerario del
Nostro, ma che conteneva in nuce le ulteriori cinque. Il titolo dell’importante monografia
conteneva un raffinato tributo al grande Lukács, autore de “Il
giovane Hegel”, scritto nella sua matura fase materialista, ma
invero amato dal milanese per i suoi scritti letterari giovanili, di
ispirazione romantica (segnatamente “L’anima e le forme”, senza
però ignorare la componente romantica ancora presente in “Storia e
coscienza di classe”). Invero, il critico milanese non confidava
molto nel successo del suo libro: era ormai la sua terza opera, e le
prime due avevano venduto, rispettivamente, otto e sei copie. Il
piccolo editore che aveva deciso di stamparlo, già in preda del
‘cupio dissolvi’ che portò poi alla sua rovina finanziaria,
confidava in una ragionevole previsione di venderne quattro copie,
che fece arrivare in altrettante librerie periferiche del capoluogo
lombardo. Ma l’autore, temendo che in effetti non se ne sarebbe
venduta neppure una, le comprò tutte e quattro. Invece una
segnalazione sul Corriere determinò un inatteso interesse, e
l’immediata immissione delle copie accatastate nel fondo del
magazzino si rivelò un successo di vendita. Non solo: proprio grazie
a quel saggio il critico vinse la cattedra nell’ateneo panormita,
che ancora detiene, lasciandosi alle spalle, in quello milanese in
cui finora aveva insegnato, un unanime commento, rimasto invariato
negli anni: “MA CHI GLIELO HA FATTO FARE?!”. A esso fece da
controcanto la nomea di “megafissa” che presto gli fu apposta
nell’università siciliana in cui prese servizio. Ma questa è
un’altra storia.