A SCUOLA DI ROCK 3 - NEIL YOUNG
di Dario Cordovana
Canadese di nascita, Neil Young emerge verso la metà degli anni sessanta come componente dei Buffalo Springfield, insieme a Richie Furay, agli altri canadesi Bruce Palmer e Dewey Martin e a Stephen Stills, che allo scioglimento del gruppo lo seguirà nel supergruppo con Crosby e Nash (veramente è Young che poi seguirà Stills, ma non stiamo a sottilizzare…). Con i Buffalo Young si mette già in luce scrivendo alcuni dei loro pezzi più belli, “Mr.Soul”, “I Am A Child”, “Expecting To Fly”… brani già maturi che fanno considerare l’esperienza in quel gruppo ben più che un apprendistato. Prima di unirsi a Crosby, Stills & Nash per un paio d’anni (esperienza che frutterà l’album in studio “Dejà Vu”, con le younghiane “Helpless” e “Country Girl”, e il doppio dal vivo “4 Way Street”), Neil ha già fatto partire la sua carriera solista. Il primo album omonimo è del ’68, ma è l’anno successivo con “Everybody Knows This Is Nowhere” che il canadese lascia tracce indelebili (“Cinnamon Girl”, “Cowgirl In The Sand”, “Down By The River”…). Cruciale è l’incontro con quello che a spizzichi e mozzichi diventerà il suo gruppo accompagnatore, i Crazy Horse, che per altro avranno anche una vita propria, anche se il loro posto nella storia ce l’hanno per questi album con Neil. Non è un gruppo straordinario, ma l’affiatamento con Young fa sì che il musicista si rivolga a loro ogniqualvolta abbia in mente un certo tipo di suono, un rock che permetta alle sue canzoni di allungarsi in lunghe jam sessions se necessario. Il vero capolavoro di Neil Young è però del 1970 e si chiama “After The Gold Rush”. I Crazy Horse non vi sono accreditati, l’album è intestato al solo Neil Young, perché oltre ai Crazy Horse ci sono Stephen Stills e il chitarrista Nils Lofgren. Tra i classici, oltre al brano omonimo, val la pena citare “Tell Me Why”, “Southern Man” e “Don’t Let It Bring You Down”, in un album che non registra cedimenti di sorta. Dopo lo scioglimento del supergruppo con Crosby, Stills & Nash (seguiranno varie reunion meno significative nel corso dei decenni seguenti), Neil viene colpito dalla scomparsa per overdose di Danny Whitten (era da tempo dipendente dall’eroina), chitarrista dei Crazy Horse e musicista di grande talento. A lui è dedicata “The Needle and The Damage Done”, nel nuovo “Harvest”, che inanella una nuova serie di classici, da “Heart Of Gold”, a “Old Man” a “Alabama”. Da lì in poi il canadese si fa notare per una serie di progetti sballati che producono album sballati (“Journey Through The Past”, “Time Fades Away”). Dopo un accorato album dedicato a Whitten “Tonight’s The Night”, che viene dopo il buon “On The Beach”, Neil si rimette in carreggiata con “Zuma” (ancora con i Crazy Horse che hanno sostituito Whitten con Frank Sampedro), mentre “American Stars’n’Bars” (ovvero quanto rimane da un progetto abortito di nome “Homegrown”), si fa notare per la splendida cavalcata elettrica di “Like A Hurricane”. E’ ormai il 1977, anno dell’esplosione punk, che Young come tanti “vecchi” ci mette un po’ a metabolizzare. Difatti l’album del 1978, “Comes A Time”, sembra più figlio della vena pacata di “Harvest” e la collaborazione con la vocalist Nicolette Larson sembra confermarlo. “Rust Never Sleeps”, del 1979, vede il canadese tornare a ruggire, forte di un pezzo come “Hey Hey My My” (anche in versione acustica) che scandisce il celebre verso “It’s Better To Burn Out Than To Fade Away” (“Meglio bruciarsi in un colpo solo che appassire lentamente”) e cita Johnny Rotten. Non è in fondo parte della filosofia punk, con agganci al Pete Townshend dei primi Who? Gli anni ottanta sono tempi di crisi: tra album svogliati Neil cambia genere almeno una dozzina di volte, mettendo alla prova la pazienza dei fans e della sua nuova casa discografica, la Geffen. “Trans” usa il vocoder con troppa insistenza, “Everybody’s Rockin’” torna al rock’n’roll delle origini, “Old Ways” si dà al country più soporifero. Bisogna aspettare la fine del decennio con “Freedom” per trovare qualcosa che ritrovi l’ispirazione. Il resto della storia parla di un musicista mai appagato nella sua curiosità a sperimentare, una collaborazione con i Pearl Jam (“Mirror Ball”) e album oscillanti per qualità. “Living With War” è un album contenente un’aspra critica alla politica del presidente americano George W.Bush, mentre “Le Noise” una riuscita collaborazione con il produttore più “in” del momento, Daniel Lanois. L’ultimo album a tutt’oggi di Neil Young è “Psychedelic Pill”, registrato ancora una volta con i Crazy Horse, e il cui brano di apertura supera i ventisette (!) minuti. E quel che è incredibile è che lo fa senza minimamente annoiare. Il canadese non si smentisce mai…
HEY HEY, MY MY (Neil Young)
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