Eugenio Zambelli in arte Dino
di Dario Cordovana
Come molti cantanti popolari negli anni sessanta la carriera
di Dino si è interrotta quando il cantante era ancora giovanissimo. Quel
periodo è stato intenso e folgorante, ma con l’arrivo degli anni settanta lo
scenario era mutato drasticamente: con l’arrivo dei cantautori gli interpreti
come lui erano destinati a trovare sempre meno spazio. E così a meno di 25 anni
Dino si trovò ad abbandonare il mondo della musica.
Eppure il cantante veronese ha tuttora una bella voce e lo ha
dimostrato nel recente concerto di Palermo nell’ambito della rassegna “Tornano
gli anni sessanta”. Una voce che avrebbe meritato un gruppo che la
accompagnava, invece di fredde basi musicali che finivano per fare
l’inevitabile effetto di un karaoke sia pure di alto livello. Unica concessione
alla coreografia erano allora due giovani ragazze che per tutto il tempo dello
spettacolo ballavano attorno al cantante, facendo girare la testa al pubblico
presente.
Lo spettacolo ha alternato i maggiori successi di Dino con
delle canzoni dello stesso periodo scelte con oculatezza dal cantante stesso.
Scelte nient’affatto banali che hanno permesso di riascoltare brani belli, ma
un po’ dimenticati come “Personalità” di Caterina Valente, “Come sinfonia” di
Pino Donaggio, “Vivrò” di Alain Barriere, “Nata per me” di Adriano Celentano,
“Ogni volta” di Paul Anka, “Lascia l’ultimo ballo per me” dei Rokes e le più
ricordate “Occhi di ragazza” di Gianni Morandi e “Pugni chiusi” dei Ribelli.
Fortunatamente niente “Io vagabondo” stavolta!
Ma l’apertura del concerto era tutta per i successi di Dino:
“La tua immagine” (versione italiana di “The Sound of Silence” di Simon and
Garfunkel), “Il sole è di tutti” (ovvero “A Place in the Sun” di Stevie Wonder
che lo stesso cantante cieco lanciò in italiano), “Chi più di me” (ancora di
Paul Anka e partecipante a “Scala reale” nel 1966) e, più in là verso fine
concerto, “Te lo leggo negli occhi” scritta da Sergio Endrigo e “Gli occhi
miei” di Mogol-Donida, con la quale Dino partecipò al suo unico Festival di
Sanremo, nel 1968, con un buonissimo successo che non si esaurì in Italia: la
canzone venne infatti successivamente incisa da Tom Jones che la portò in
classifica con il titolo di “Help Yourself”.
Ma la parte più interessante del concerto è stata forse il
medley di canzoni meno note di Dino, una specie di “only for fans”, con “Il
ballo della bussola” e “Simone Simonette”, quest’ultima registrata proprio a
Palermo dove Eugenio Zambelli (questo il suo nome all’anagrafe) nel 1969
asserviva agli obblighi militari presso la caserma “Scianna”.
Infine due curiosità: uno strano hully gully intitolato “Il
ballo del canguro” (che, fatto per i balli di gruppo, in quel contesto faceva
quasi l’effetto di una canzone dello Zecchino d’oro, e una canzone in spagnolo,
“Quisiera parar el tiempo”, per altro ben accolta dal pubblico.
Dopo un’ora e mezza di concerto (e di grandi sorsate
d’acqua, così frequenti da far temere che il cantante dovesse da un momento
all’altro assentarsi per espletare naturali bisogni fisiologici), Dino saluta
tutti sulle note di “Stay” di Maurice Williams (ma resa celebre anche da
Jackson Browne) e dà l’appuntamento ad una prossima volta. In fondo, oltre a
un’ora e mezza di serenità cosa chiedergli di più?
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