IL PAPA E I PARLAMENTARI ITALIANI
di Fra' Domenico Spatola
Oltre cinquecento tra parlamentari e ministri del Governo Italiano giovedì 27 marzo 2014 si diedero appuntamento nella Basilica di San Pietro in Vaticano per assistere alla Messa celebrata da papa Francesco. L’occasione era ghiotta per i nostri rappresentanti e fu corsa per accaparrarsi i primi posti, visto che con papa Bergoglio nessuno può vantare privilegi. La levataccia fu alle cinque del mattino, perché la celebrazione era prevista per le sette ed essere puntuali era un’impresa, visti i severi controlli che filtravano la destinazione. Solerti e intruppati, piazza San Pietro li vide sfilare e infilarsi frettolosi nella chiesa. La Messa puntuale. Qualcuno fiutò da subito tuttavia che non era aria di gratificazioni né di salamelecchi, per cui, controcorrente, preferì gli ultimi posti, né, in seguito, si pentì della scelta. I più puntarono all’effimera esibizione, sperando di potere sfruttare l’occasione di un’inquadratura con il pontefice più popolare della Storia o a una sua personale stretta di mano, che avrebbe accresciuto il prestigio magari per future scadenze elettorali. L’omelia fu “tosta” e avrà pure, a parecchi, procurato qualche mal di pancia. Né convenevoli né minuetti, nelle parole del papa, ma piuttosto “il tiro al piccione” dove ogni colpo andava drammaticamente a segno. E’ pur vero che gli episodi commentati riguardavano l’antichità di Israele e del tempo di Cristo, ma l’insistenza di certi vocaboli non lasciavano dubbi circa i reali interlocutori. «Corrotti» e «corruzione» furono i vocaboli più ascoltati. Erano rivolti da Gesù ai Farisei e ai Capi del popolo, ma da papa Francesco erano denunce attuali contro il malcostume dei politici dei nostri tempi. Gli Italiani infatti venivano paragonati ai contemporanei di Gesù compia nti come «pecore senza pastore». Il papa non tralasciò tuttavia di offrire ai politici la ricetta del riscatto, indicando in Cristo il modello dell’agire e del parlare, soprattutto nell’attenzione ai poveri, ai sofferenti, alle famiglie e alla gente che ha diritto di lavorare. Come un sibilo risuonò nelle ampie navate della basilica l’evangelico «sepolcri imbiancati, belli di fuori e corrotti di dentro!», perché pronunciato con insospettato vigore e nello stile degli antichi profeti, e costituì l’affondo che fece sobbalzare più d’uno dei presenti. Come Geremia sulle macerie fumanti di Gerusalemme, quasi piangendo papa Francesco ricordò «il lamento divino», implorando la conversione che la Quaresima propizia «per avviarsi sulla strada di Dio». Qualche cronista tentò una panoramica: più d’uno aveva abbassato gli occhi, mentre altri tentavano maldestramente di esorcizzare la vergogna glissando su «il papa che fa il suo mestiere», o magari pensando che parlasse ad altri. La Messa si concluse senza ovazioni né strette di mano. Alla chetichella i nostri lasciarono la chiesa. Fu pietra nello stagno. Con l’auspicio che, questa volta, riesca a svegliare qualche coscienza!
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