Lesbo: frontiera tra due Continenti
di Fra' Domenico Spatola
Lesbo, con il suo capoluogo Mitilene, è la terza tra le isole più grandi della Grecia. Novantamila i suoi abitanti che fruiscono di un territorio di oltre mille chilometri quadrati. Nella zona ionica dell’Egeo, è dirimpettaia dell’Anatolia, da costituire del Continente europeo la propensione verso quello asiatico. Isola di frontiera dunque e primo possibile approdo per i numerosi migranti che, sfidando la morte in mare e non sempre da superstiti, fuggono dall’interminabile guerra siriana. Fu patria (VII secolo a.e.c.) dei poeti lirici della Grecia antica: Alceo e Saffo. Di quest’ultima Anacreonte tramandò la professione di “educatrice” di fanciulle. Fino al 16 Aprile u. s., erano le mie uniche conoscenze scolastiche su quest’isola, venuta drammaticamente alla ribalta della cronaca, per l’immigrazione forzata dei tanti fuggiti dalla guerra in cerca di una terra sicura. Papa Francesco avrà faticato per individuarla e scegliere dove portare ai numerosi migranti la speranza e l’attenzione indifferentemente negata dai potenti. Tre anni prima, un analogo sentimento l’aveva condotto a Lampedusa, per trascorrervi la “luna di miele” da pontefice appena eletto, con i disperati che provenivano dalla Libia. Ancora una volta “suo” vangelo è un “j’accuse” nei confronti di quanti continuano vergognosamente a non vedere, ostruendo contatti o corridoi umanitari. La “vecchia” Europa, che nella sua millenaria storia fino ai tempi recenti della Seconda Guerra mondiale ha vissuto anche il furore della barbarie, vuole ignorare, perdendo, per avidità e beghe da vecchio vizio nazionalistico, l’occasione storica di essere “guida” degli altri popoli in via di sviluppo. In termini di libertà e di democrazia, in Occidente il pensiero antropologico è maturato faticosamente con un processo millenario dove sono state registrate anche discontinuità. Sua culla, unanimemente riconosciuta, è la Grecia con i massimi pensatori: Socrate, Platone, Aristotele e i numerosi altri filosofi loro contemporanei. Gli stessi Sofisti, nel sec. VI a.C., avevano indicato nell’uomo “la misura di tutte le cose” e l’unico destinatario delle attenzioni della collettività, chiamata a soddisfare i suoi bisogni di felicità. Oggi altri “valori” preoccupano l’Unione europea, che alla paura contrappone l’ansia dei suoi guadagni e l’indifferenza colpevole per gli inevasi quesiti del presente momento storico. Chiudere le frontiere sembra ad alcuni capi di Stato l’unico rimedio. Nell’epoca globale il nemico tuttavia non è visibile né perciò identificabile. I “fatti” di Parigi e quelli di Bruxelles dimostrano che essi potrebbero essere “quelli della porta accanto”, non integrati nella società, anche se da tre o quattro generazioni vi sono nativi, partecipandone ai benefici. Urgente dunque una nuova strategia, perché nel riproporre la paura del “diverso” o dello “straniero”, quale “potenziale” aggressore, si rischia di protrarre la guerra all’infinito. Le emigrazioni, ricorrenti nella Storia, hanno portato benessere all’ospite e all’ospitante. Il “nuovo” va pensato nei parametri della giustizia e dell’equità. E’ drammatico infatti il divario del benessere “osceno” dei pochi ricchissimi, che possiedono quasi l’intero PIL mondiale, e le masse dei Popoli indigenti che faticano per sopravvivere. Diseguaglianze che fanno rabbia per gli sprechi di tonnellate di cibo in eccedenza che finisce al macero giornalmente per esigenze di mercato, a fronte di intere popolazioni che vivono al di sotto della soglia di povertà. L’autorevole voce, sempre più ascoltata dai poveri e che imbarazza i potenti, è quella di papa Francesco, che a Lesbo non ha voluto delegare “la carezza ai bambini”, ma è accorso a donarla. “Spasmodico” il suo muoversi per la voglia di “onnipresenza”, non volendo mai mancare laddove si registra sofferenza ed emarginazione. Portando il “Vangelo di Cristo” («da questo vi conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri come io vi ho amato»), egli stesso diventa “vangelo” per i poveri e gli emarginati. La sua insistenza per un superamento dei pregiudizi sulle “diversità”, a iniziare da quelle religiose strumentalizzate spesso per affermazioni di potere, è guidata dal suo ottimismo nell’uomo che ritiene “capace” di grandi gesti di altruismo a favore della comune “felicità”: diritto da riconoscere a ciascuno. Essa trova una sua prima attuazione nella logica evangelica di «fare agli altri quel che ciascuno vorrebbe fatto a sé».
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