Storia semiseria e disordinata della canzone italiana da Sanremo in poi - quarta puntata
di Dario
Siamo ormai arrivati agli anni
sessanta ed il rock’n’roll provvede ulteriormente a dividere le generazioni:
giovani da una parte e vecchi (poi chiamati addirittura “matusa”, senza il “lemme”
di corredo) dall’altra.
Non c’erano vie di mezzo: o si
era giovani o si era vecchi; e si diventava presto vecchi, almeno agli occhi
dei giovani: chi compiva quarant’anni veniva guardato malissimo.
D’altronde il gusto musicale si
evolveva in fretta ed era difficile rimanere al passo coi tempi; tutta quella
generazione di cantanti che aveva imposto il proprio gusto musicale a Sanremo
negli anni cinquanta, un gusto fatto essenzialmente di mamme e di rintocchi di
campane della chiesa, venne spazzato via in pochi anni.
Via Nilla Pizzi, Achille
Togliani, Gino Latilla, Carla Boni, Giorgio Consolini e il Duo Fasano; e via
anche le promettenti nuove leve come Tonina Torrielli e Wilma De Angelis,
troppo legate al gusto dei cantanti citati in precedenza.
Resiste Claudio Villa, dall’alto
del suo “Io la voce cell’ho!”, e resisterà per almeno un altro decennio
abbondante, senza grandi boom discografici, ma sempre con un gran seguito di
pubblico: un cantante-madonnina al passaggio del quale le vecchie signore affacciate
al balcone (e non solo loro) sono sempre pronte a lanciare petali di rose…
Nel 1962 sono ancora gli urlatori
a trionfare, con Tony Dallara in gran spolvero; il rock’n’roll però, anche se
introdotto con prudenza (nelle prime canzoni del genere in Italia la chitarra
elettrica è spesso sostituita dai sassofoni e, più che di gruppi rock, ancora
si parla di orchestre jazz che accompagnano i cantanti come Celentano), fa
comunque presa tra i giovani che, negli anni del boom economico, si rendono
anche conto di essere numerosi.
Sono i figli nati alla fine della
seconda guerra mondiale, che hanno ormai 16 anni nel ’62, e che scelgono come
idoli dei giovanissimi coetanei; due di questi vengono tenuti a battesimo in
una puntata del varietà televisivo “Alta Pressione” del regista-innovatore Enzo Trapani: Gianni
Morandi e Rita Pavone (quest’ultima, è proprio il caso di dire, tenuta a
battesimo in quanto inizia la sua esibizione cantando “La Partita di Pallone”…in una culla!).
L’emiliano Morandi è comunque
almeno inizialmente il prototipo del bravo ragazzo che è alle prese con i suoi
amori adolescenziali ed è pronto a fare a pugni per difenderli:
“Tu digli a quel coso che sono geloso e se lo rivedo gli spaccherò il
muso”
passioni adolescenziali a tratti
anche travolgenti:
“Andavo a cento all’ora per veder la bimba mia”
oggi, purtroppo, si potrebbe
aggiungere:
“mi son scontrato con un camion oltre la linea di mezzeria”
e a volte piene di sensi di colpa
con lui che va ad implorare perdono (“In
ginocchio da te”, “Non son degno di
te” ecc.), alternando twist (ballo veloce dell’epoca che consisteva
nell’agitare a sinistra e a destra ritmicamente le ginocchia senza rompersi il
menisco) e lenti. Più avanti, occasionalmente, tenterà la strada della canzone
di protesta, pentendosi immediatamente.
Ancora di protesta però non si
parla: la canzone sposa il disimpegno, soprattutto d’estate, con i vari Nico
Fidenco, Peppino Di Capri ed Edoardo Vianello (quest’ultimo un vero orso, non
per via del carattere, ma per l’abitudine di andare in letargo e poi sfornare
pezzi estivi e balneari, tutti ballabilissimi: “Abbronzatissima”, “Guarda
come dondolo”, “I Watussi”, “Pinne, fucile ed occhiali”, “Tremarella”, “Il capello” ecc. ecc. ecc.
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