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12 febbraio 2010

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - Sanremo '69 - prima serata

di Dario Cordovana



Alla fine le contestazioni sessantottine si abbattono su Sanremo, che per non rischiare viene registrato e mandato in onda in differita. L’organizzazione è di Ezio Radaelli, il patron storico del Cantagiro, e come al solito, tra i cantanti c’è una notevole ressa per assicurarsi la partecipazione, la canzone giusta ed anche l’accoppiamento vincente. Due dei cantanti esclusi, Tony Renis e Lara Saint-Paul, ricevono il contentino di cantare la canzone-sigla della manifestazione intitolata “La canzone portafortuna”.
Il numero dei cantanti stranieri viene un po’ ridotto (questa era la base di una delle proteste) e tra quelli che rinunciano all’ultimo momento ci sono i Procol Harum di “A whiter shade of pale”, mentre tra gli italiani fa sensazione la sostituzione di Anna Identici con l’esordiente Rosanna Fratello. Motivo: robetta…la Identici aveva appena tentato il suicidio per amore. Per la brava Rosanna è invece un inaspettato inizio di una carriera non avara di soddisfazioni. A questo punto vi starete chiedendo: ma cosa diavolo faceva Rosanna Fratello quando le hanno comunicato che doveva andare a Sanremo? Un noto settimanale dell’epoca ci svela il mistero: “Stavo lavando i piatti…”.
Il diciannovesimo Festival viene aperto dalla soave voce di Gabriella Farinon che annuncia il primo brano, di Mogol-Battisti “Un’avventura”, canta Lucio Battisti! Ma sì è proprio lui in capelli ed ossa. Alla sua unica partecipazione sanremese, il cantautore reatino, malgrado un errore nell’attacco della seconda strofa, se la cava bene, è anche disinvolto. E stavolta il pezzo l’ha scritto lui e in seconda esecuzione non c’è qualche scomodo collega italiano, ma Wilson Pickett, che nel brano battistiano trova pane per i suoi denti. E’ infatti ancora il rhythm’n’blues a far sentire la propria influenza e sarà così ancora alla fine dell’anno.
A seguire “Cos’hai messo nel caffè”, una composizione allegro-raffinata del vincitore del “Disco per l’estate” 1968, ovvero Riccardo Del Turco, ben spalleggiato da Antoine e “Tu sei bella come sei” con gli Showmen e Mal con i Primitives, che dopo il Festival diventeranno Mal…e basta. Bene o male le prime tre canzoni arrivano tutte in finale.
Cosa che non riesce, ed è un fatto clamoroso, ma che indica come Sanremo ancora una volta non guardi in faccia a nessuno, a “Meglio una sera (piangere da solo)” che boccia in un sol colpo Mino Reitano, allora emergente, e il reuccio Claudio Villa. E pensare che certa stampa li dava per vincenti…
Purtroppo invece va in finale “Zucchero”, intesa come canzone (brutta), che probabilmente non si sapeva bene a chi far cantare. Alla fine si immolano i Dik Dik e l’esordiente ex-diva un po’ in disarmo Rita Pavone. Resta fuori, e conclude questa mediocre terna, “Il sole è tramontato”(…che strano/è mattino/lo vedo nei tuoi occhi/è il tramonto del nostro amor), cantata da Checco (Marsella, ex-Giganti) e dal sempre promettente Elio Gandolfi (alla fine gli hanno fatto promettere di non cantare più).
A sottolineare i notevoli alti e bassi di questa edizione del Festival il livello si rialza con “Un sorriso”, ispiratissima, anche se non immediata canzone di Don Backy, ancora una volta coadiuvato da Milva (che aveva già presentato la “Canzone” del Backy l’anno precedente). La cosa che mi ha sempre impressionato di questo pezzo è l’arrangiamento di Detto Mariano, con una batteria pesantissima per la musica leggera dell’epoca che dava al brano, in fondo classico nello stile, un vestito molto moderno. Terzo posto assoluto meritatissimo.
Ed eccoci ad un’altra esordiente assoluta che farà parlare di sé: poco più che quindicenne Nada (il “pulcino di Gabbro”, ma solo per l’età, non certo per la voce) consegna alla storia “Ma che freddo fa” e accompagna in finale i Rokes, che si riscattano del passo falso dell’anno precedente, ma che si devono rassegnare a cedere lo scettro per la migliore interpretazione alla giovanissima esordiente.
Resta a piedi l’orecchiabilissima “Alla fine della strada”, adattissima ad una cantante come Orietta Berti, ma essendo questa impegnata con un brano di gran lunga superiore, viene affidata a Junior Magli e ai Casuals che avevano riscosso un buon successo con “Jezamine”.
Nell’ultimo terzetto è presente una vera e propria meraviglia che si chiama “Io che ho te” che né l’esecuzione dei New Trolls (con un Nico Di Palo un po’ sopra le righe), né quella di Leonardo riusciranno, anche se per poco a portare in finale. Finale che resta una chimera per “Le belle donne”, cantata da Robertino e, non si sa perché, da Rocky Roberts (uno che conosco avrebbe detto “che c’azzecca?”). Comunque forse – e dico forse – la canzone più brutta del Festival.
Ho detto forse perché anche “La pioggia” non scherza, ma si sa, quando ci si mette, la Cinquetti nelle marcette riesce a fare peggio della Berti. Molto peggio. In questo suo misfatto (che naturalmente va in finale) l’accompagna France Gall, in Italia non proprio una celebrità, ma con un Eurofestival all’attivo, vinto con una bella canzone di Serge Gainsbourg: “Poupèe de cire, poupèe de son”…

Un'avventura (Lucio Battisti)


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