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20 ottobre 2008

King

di Andrea Basso Senior



King era giunto a Palermo dall’America al seguito di un marinaio, dal quale, per troppo amore, non era riuscito a separarsi.

Qui aveva trovato alloggio in un appartamento a primo piano,  che divideva, in buona armonia, con Boby, volpino, anche se non volle mai ammetterlo, convinto come era di essere di una razza superiore, e con Mausina, candida micia dagli occhi verdi, come tutte le sue simili originarie dalla capitale turca. Questi lo avevano preceduto dagli Stati Uniti, in occasione di altri viaggi del nostro marinaio.

Nello stesso appartamento si erano sistemati anche alcuni pappagalli amazzonici ed una scimmietta molto vivace, tanto che le due zie del marinaio, che alloggiavano pure lì, cominciavano a prendere in seria considerazione l’eventualità di trasferirsi loro in America. Ovviamente senza lo zoo.

Talvolta succedeva che, passando dal corridoio, si vedeva dondolare il lampadario a brindole del salotto buono, il che provocava un tuffo al cuore, memori degli scanti presi per il recente terremoto; ma poi, constatato che gli altri lampadari erano immobili, la zia, a denti stretti, diceva:  “Corpurisali! Sta camurria ri scimia qualchi vuota l’ammazzu”.

A King, nessuno aveva mai detto di essere un feroce combattente, come tutti i buldogs, e pertanto era buonissimo, tanto che i bambini gli facevano stramini inimmaginabili, che lui sopportava con pazienza e compiacimento.

Ma quando suonava la sirena succedeva un macello: la scimmia scorrazzava nervosamente, i pappagalli volavano per tutta la casa, mentre King, piangendo come solo lui sapeva piangere, si andava a mettere dietro la porta, e se non gli si apriva prontamente, cominciava a rosicchiarsi quello che era rimasto dei piedi del tavolo, facendosi pure la pipì addosso, specie se intanto si sentivano cadere le bombe che, talvolta, arrivavano pure prima della sirena. Ed, in effetti, le bombe si sentivano cadere, perché, nella loro discesa,  producevano un sibilo terrificante.
Erano i tempi della guerra, iniziata il 10 giugno 1940.

Prudentemente, le autorità di allora avevano fatto costruire i ricoveri antiaerei, ed uno di questi fu realizzato nell’atrio della scuola “Ragusa Moleti”, nell’omonima via, che serviva per tutto il rione. Erano indicati alla popolazione da frecce blu stampate sui muri degli edifici, sulle quali spiccava, in bianco, la scritta “A METRI 100 RICOVERO”, che si rivelò l’unica cosa ben fatta, tant’è vero che, ancora oggi, se ne trovano diverse. Chi volesse constatare, può recarsi in Via Trasselli, angolo C.so Calatafimi, lato monte, o in Via Rosario Salvo, ai due angoli con Via Ragusa Moleti. Ma se ne trovano ancora in tutta la città.

All’atto pratico, però, questi ricoveri ebbero una utilità soltanto psicologica, in quanto tutti quelli colpiti dalle bombe, furono da queste perforati, ed i rifugiati fecero la fine dei topi in trappola.

Vi do, qui di seguito, alcuni brevi cenni sulla sirena.

Aveva il compito di annunziare l’inizio e la fine dell’allarme aereo.

Come sostantivo, aveva solo il singolare, perché interessava soltanto quella che si sentiva, mentre non te ne fregava niente delle altre centinaia che erano sparse per tutta la città.

La nostra era ubicata sul tetto del Boccone del Povero, all’angolo tra Corso Calatafimi e Via Pindemonte. Per sentire il suo suono, non era necessario farsi legare all’albero maestro, come fu costretto a fare Ulisse, in quanto non era per niente seducente, ma anzi procurava un senso di terrore. E poi, così legati, non sarebbe stato molto agevole scappare verso il ricovero di cui sopra, tenendosi la pancia con le due mani.

In genere, si sentivano chiaramente sia i tre colpi di inizio allarme, che quello che segnalava la fine.

Badate bene, però, che quelli che non sentivano quest’ultimo colpo di sirena, non andavano poi dall’otorino per farsi stuppari le orecchie, ma, a cura delle autorità competenti, venivano scrupolosamente rubricati, ed il loro numero complessivo giornaliero corrispondeva esattamente con quello delle vittime, riportato l’indomani sui giornali, per i fini statistici.

Purtroppo, nell’elenco di coloro che non sentirono la sirena di cessato allarme del 9 Maggio 1943, fu compreso anche il nome di Giuseppe Schiera, poeta palermitano del tempo, che impersonava l’animo del popolo. Era mezzogiorno, e mentre cercava di sottrarsi alle bombe che cadevano, attraversando la Via Perez per recarsi nel ricovero che era nei pressi dell’omonima scuola, fu raggiunto alle spalle da una micidiale scheggia.

Ma, certamente, da allora, non sente più i morsi della fame, e continua a cantare i suoi versi estemporanei, spartendo i suoi pizzini fra gli Angeli e i Santi palermitani, che solo loro lo possono capire.

Che si trovi fra gli Angeli, ne sono certo, poiché i suoi peccati li aveva già scontati qui.

E poi, a conti fatti, ne scontò più di quanti ne poté fare. E il resto mancia. Oppure ce li facciamo scalare dai nostri. Manco per perderli.

Si può fare?

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