Mio fratello si era convinto di essere un grande inventore e passava le sue giornate a mettere a punto un nuovo sistema di sospensioni per automezzi pesanti, che era la sua trovata prediletta.
E mentre metteva a punto la sua invenzione, si accorse che gli anni passavano. Allora si comprò una Balilla di quinta mano, che, praticamente, non ne voleva più di camminare. Ma lui, facendosi forte del suo ingegno, se la mise tutta a posto per benino, ed era diventata la meraviglia dei ragazzi del quartiere. E, per gli increduli , ci aveva appeso sul lunotto posteriore un cartello con su scritto “ …..e pur si muove!”
Con questa Balilla imperversava per tutto il Corso Calatafimi. Che, quando passava, dicevano: “Cca è”, e ci entravano i bambini. Ma danni, per fortuna, non ne fece mai, perché, malgrado le apparenze, era molto bravo e prudente.
Poiché il mantenimento di una simile macchina era abbastanza costoso, sperimentò un sistema frenante molto più economico. Principalmente consisteva nel fatto di sostituire l’olio per freni con acqua e sapone, che ovviamente era meno costosa. Raccomandava, però, ai suoi discenti, che erano numerosi, di usare soltanto sapone molle. Quello, per intenderci, che quando ne andavi a comprare tre once e mezza, te ne mettevano una cazzuolata di cento grammi su un foglio di carta di pasta. Che l’oncia, corrispondente e circa trenta grammi, era stata ormai soppiantata dal sistema metrico decimale; ma la terminologia, fra il popolo, era rimasta ancora quella. Che tanto la gente non lo sapeva, ed era convinta che si usassero ancora le once.
Ed i putiari, in uno dei due piatti della bilancia, ci mettevano i pesi da cinquanta o cento grammi, rispettivamente per un’oncia e mezza e per tre once e mezza.
Come quando andavi da don Lìllì, che ci aveva il pastificio in Corso Calatafimi, di fronte al Boccone del Povero, e ci trovavi tutta la pasta stesa sulle canne ad asciugare, che ondeggiava al vento dei ventilatori ed era uno spettacolo, e ti sembrava di stare davanti ad un campo capovolto di bionde spighe di grano, ed alla tua richiesta:” Rici a mamma, mi rassi un ruotulu di margherita, ca poi passa idda e ccia paga”, prontamente te ne pesava ottocento grammi e te l’avvolgeva nella solita carta di pasta, modello unico per tutte le merci, ma mai, come in questo caso, usato in modo più appropriato.
Che poi, Lìllì si scriveva Lìllì, ma si leggeva con sei elle, inframmezzate, a tre a tre, da due i, tutt’e due accentate.
Un giorno, però , mentre mio fratello, con la sua Balilla, percorreva la discesa tra Casteldaccia e Trabia, che ancora oggi non riesco a capire come ci fosse arrivato con quella lanna, successe che il freno acqua e sapone non gli funzionò, e tirò dritto, come se non esistessero pure le curve. Ma Angelo, che gli stava seduto accanto, capì tutto e, velocemente, gli si parò davanti, sotto le false spoglie di un albero. E successe che non si fece niente nessuno. Neppure la macchina e l’albero.
Prova a farla oggi una cosa del genere, che Angelo, quando capisce di essere snobbato dagli amici, se ne sta per conto suo per Via Libertà, e si gode il passeggio delle ragazze che annunziano l’arrivo della primavera e si guarda le vetrine che annunziano l’ultima moda. E gli amici spuntano, tutti allineati e coperti, sul giornale del giorno dopo, con nomi, cognomi, fotografie recenti e parenti in lacrime, mischini tutti, gli amici ed i parenti.
Ora, il nostro inventore aveva escogitato, da par suo, per rientrare nel budget della costosa Balilla, un semplice sistema: faceva la scuola guida ad un altro fratello che, pur essendo più grande di lui, non aveva avuto la sua velocità a patentarsi, essendo una persona normale.
La scuola guida consisteva in questo: si partiva dalla via Trasselli e si scendeva per il Corso Pisani. Giunti a Porta Nuova, dove c’era l’unica stazione di rifornimento della zona, puntualmente il maestro si svegliava, e, guardando la lancetta del livello del carburante, diceva: “Cca ci vuoli u assuoliu.” Fatto rifornimento, a spese dell’allievo, risaliva per il Corso Calatafimi e, ritornato al punto di partenza, guardava l’orologio, esclamando “ Ora basta, ca aiu un puntamientu.”
E poi si mise a cercare come campare. E quando cci abbuttò di cercare a Palermo, se ne andò a cercare a Milano, dove, loro che se ne intendono, lo fiutarono al volo, e gli fecero dirigere una finanziaria.
E poi cci abbuttò, e, ricordandosi che si sapeva inventare tutto, si fece una fabbrica di pallini di piombo per cacciatori, che ancora ci sparano.
E poi cci abbuttò, che, per sua natura, una ne pensava e cento ne faceva, e allora si mise una fabbrica di pneumatici per automodelli da competizione. E glie li vendeva pure ai tedeschi, che non sono dei fessi. Che ancora ci corrono e ci vincono gare.
E quando si accorse che le cose gli andavano bene, si comprò una Mercedes, ma di prima mano, che era la meraviglia di tutti i suoi discenti, milanesi e non.
Quando mi ci fece fare un giro, mi disse: “Cuomu ti pari’” “Una bella macchina” risposi, “E tu come ti ci trovi ?” Una macchina eccezionale. E’ inutile. Sti tedeschi non sapranno fare i pneumatici per automodelli, ma le macchine si. Una bella cosa andarci in giro.”
“Però, nulla a che vedere con la soddisfazione di guidare la Balilla, che era tutta un’altra cosa.”
Le tue storie sono sempre bellissime, come bellissimi sono gli aneddoti che ricordano chi purtroppo non c'è più. Un caro abbraccio da tuo nipote e vai con altri racconti
Un ricordare bello, intenso, vibrante: gtrazie, Andrea! Il tutto si potrebbe accompagnare con la canzone "La Balilla" (si legge Balila), magari cantata da Lino Patruno: così il gemellaggio nei ricordi tra Milano e Palermo troverebbe un bel suggello canoro