IL PREMILITARE
di Andrea Basso Sr.
Mio fratello era poliedrico. Sapeva fare tutto, perché il Padreterno, nella Sua grande bontà, l’aveva fatto così. Che poi, per motivi di media statistica, per compensare , qualche cretino te lo fa. Tanto il cretino va tranquillo lo stesso, dato che non sa di esserlo. Vi do, qui di seguito, un sommario elenco delle attività che mio fratello svolgeva con successo: spasimante, innamorato, seduttore, fidanzato di tutte, calciatore, attore, imitatore, presentatore, macchiettista, musicista, cantante, ballerino, ecc. Ricordo la sua prima fidanzatina. Era molto bella. Però era evangelista, e questo fatto, allora, era considerato una grave colpa. Ma che ci poteva fare lei, se era nata in una famiglia di evangelisti? Che poi sono pure cristiani come noi. No? E certe volte, anche più di cert’uni che conosco io. E successe che, un giorno, che c’era quella maledetta guerra, mentre lei tornava nelle Eolie, di dove era, un sommergibile inglese, tanto per esercitarsi, lanciò un siluro contro quella piccola nave, tutta bianca e con la croce rossa ben visibile, come volevano le convenzioni internazionali, e che non si poteva sbagliare. Ed infatti non la sbagliò. E la navicella se ne calò a picco, con tutti i figli di madre che aveva a bordo. Che, quando si seppe, pianse tutto il rione. Evangelisti e non. Brave persone, quegl’inglesi, però.
Come attore, spaziava dal tragico al comico, secondo le richieste della piazza. Un giorno, il Capo del Gruppo rionale, che era considerato una figura di rilievo del partito, conoscendo bene le sue capacità, gli disse :”Che ne diresti di organizzare una bella recita qualificante?” E lui, dopo averci pensato alcuni istanti, rispose che si sarebbe potuta fare la Tosca, ovviamente in prosa, se non ci fosse stato il problema dei costosi costumi di scena. E subito arrivarono i costumi della sartoria del Teatro Massimo. Poi si seppe che il Federale, opportunamente sollecitato, aveva avanzato questo suo desiderio al direttore del teatro, il quale, molto spontaneamente, fu felice di aderire alla richiesta. Anche perché non gli andava giù l’idea di dirigere, in alternativa, il Teatro Lirico di Adis Abeba. Fu un grande successo. Ma quella ‘ntolla di Tosca, quando, alla fine del secondo atto, dopo avere fatto per benino il servizio a Scarpia, che era il nostro, assestandogli allo stomaco una coltellata ferma, che cadde come corpo morto cade, fra applausi scroscianti, non ti mette i candelabri la dove doveva chiudersi il sipario? Che, infatti, appena chiuso, prese fuoco. E Scarpia, novello Lazzaro, ancora curri, che perse pure la parrucca. E ci fu u scappa scappa.
Quando, invece, faceva gli spettacoli dentro le caserme, per tenere su il morale dei soldati in procinto di partire per il fronte, e che spesso si rivelò un viaggio di sola andata, si trasformava in brillante comico. Raccontava barzellette, faceva macchiette, suonava il pianoforte, la fisarmonica, la batteria…….
Come calciatore, giocava nella Juventina, all’ala destra, che oggi si chiama tornante, ma sempre quello è. Mio padre non voleva, perché, diceva, che per il pallone trascurava i libri, che erano più importanti. Ed era vero. E così, quando la Juventina vinceva, per lui finiva in parità, mentre quando abbuscava, lui abbuscava due volte, una volta fuori casa ed una volta in casa. Che non era di tutti. E poi, il 23 Agosto 1941, ci fu la fusione tra la Juventina, che militava in serie C, e il Palermo, che il 30 Agosto 1940 era stato radiato dalla Federazione, per insolvenza finanziaria. E, per un po’ di tempo, la squadra si chiamò Palermo-Juve. E fu pure promossa in B. A scanso di equivoci, si tenga presente, però, che stiamo parlando della Juventina degli anni ‘40 e non di quella rifondata dal Presidentissimo Renzo Barbera negli anni ‘60.
Insomma, mio fratello faceva tutto. Ma il premilitare no.
Il premilitare proprio gli aggruppava e non gli poteva scendere da qui a qui. Quel marciare, inquadrato, al Vanidduni, cantando inni di guerra, col fucile in mano, gli sembrava la cosa più ridicola del mondo. E lui aveva altre cose più serie per la testa. E non ci andava. E allora venivano i carabinieri a casa, su perentoria segnalazione del Capo Manipolo, per ricordargli a cosa andava incontro, disobbedendo ai precisi ordini del Duce, e che doveva prepararsi per servire la Patria. Ma lui non ci andava lo stesso. Così, essendo recidivo, i carabinieri se lo portavano dentro. Poi interveniva il Capo del Dopolavoro, che convinceva il Federale che il nostro era più utile fuori che dentro, per tenere su il morale di civili e militari, che i tempi erano duri. E così tornava in libertà. Per farvi un’idea di quanto il premilitare fosse considerato importante dal regime, sappiate che due allievi ufficiali, che stavano ultimando il loro corso, furono buttati fuori dalla scuola, quando, dall’attento esame dei loro fascicoli, risultò che non avevano voluto fare il premilitare. Nella motivazione del provvedimento c’era scritto: “Per indegnità”. E un giorno gli arrivò il tanto temuto, ma purtroppo previsto, cartolino per la chiamata alle armi. Non so come fu, ma finì all’Ospedale Militare, che era vicino a casa nostra, in osservazione. Mentre i medici osservavano lui, lui osservava che orbita dovevano seguire le pagnotte, che preventivamente si fregava, per giungere astabbanna del muro, dove noi attendevamo fiduciosi. Ed effettivamente, ad un nostro fischio convenzionale, confermato dall’altra parte del muro, le pagnotte arrivavano. Quando più e quando meno, a secondo com’era andato il raccolto. E quando ne arrivavano meno, era allora che mio padre si esibiva nel suo numero preferito: la moltiplicazione dei pani. Consisteva nell’assestare precisi colpi di coltello alla pagnotta, facendone, con precisione, un certo numero di pezzi di eguali dimensioni e peso, ad evitare sciarre al momento della spartizione. Intanto, fra un’osservazione e l’altra, la guerra finì, e così pure la storia del premilitare e del militare. Ma la sua storia, fatta da continue trasformazioni, continuò ancora per un bel po’. Fino a quando, un bel giorno, mio padre gli disse perentoriamente: “Ma, ‘nzumma, dico io, quann’è ca l’hai a finiri?” E allora lui, stanco di essere assicutatu a colpi di currìa, prontamente si laureò. Fu assunto in banca e divenne un valente funzionario. Anche perché avevano scoperto che sapeva fare tutto. E glielo facevano fare.
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