Le Zie
di Andrea Basso Sr.
La Za’ Sisidda era monaca di casa. Ma poi zia di chi? Zia di tutti, di rispetto, come si usava una volta. Le monache di casa erano vergini laiche consacrate, in una sorta di monachesimo domestico, e godevano in mezzo al popolo di grande prestigio e venerazione. La consacrazione delle vergini non di vita comunitaria era una pratica molto diffusa. Queste sante donne prendevano il velo, si sceglievano pure un ordine monastico, di cui seguire la regola, si vestivano da monaca, ma non entravano in convento, restavano nella propria casa. La figura della monaca di casa è ancora oggi contemplata nel Diritto Canonico, dove è prescritto che dette donne debbono avere non meno di quarant’anni ed essere in possesso di risorse economiche per potersi sostenere. Cosa che non sempre avveniva, ed in questo caso provvedevano le vicine, presso le quali godevano di grande rispetto. Le monache di casa erano, in genere, molto abili, sia nei lavori di taglio e cucito che nell’arte dei ricami ad uncinetto. Allora, molte ragazze della buona borghesia erano solite andare alla “Mastra”, dove questa era spesso una monaca di casa e da questa attività ricavavano un buon sostentamento. Una sera mia madre, a Pagliarelli, portò alla Zà Sisidda un piatto di pasta con le lenticchie, ben caldo, e lei la ringraziò assicurandole molte preghiere. La mattina seguente, quando mia madre le chiese se la minestra fosse stata di suo gradimento, si senti rispondere: - “Grazie, era molto buona, ma era troppa. Ed allora me ne sono mangiata una metà e me ne sono andata a letto”. Ma poi aggiunse che, essendosi svegliata durante la notte, pensò che se fosse morte, che aveva oltrepassato la novantina, la minestre si sarebbe perduta. - “Ed allora, mi sono alzata, l’ho riscaldata e me la sono mangiata.”
La Za’ Nenè, invece si sposò e, tra un rosario e l’altro, si stampò undici figli. Fino a qui niente di eccezionale, che allora si usava. Ma la cosa particolare sta nel fatto che fece dieci maschi tutti di fila e l’undicesima le venne femmina. E meno male. Perché forse avrebbe continuato a fare maschi, in attesa della femmina. Che poi, anche come probabilità matematica, è una cosa molto rara. E’ come se tu lanci in aria una moneta dieci volte e ti viene dieci volte testa. Possibile ma non probabile. E a lei riuscì il possibile. Evidentemente, mettere al mondo tutti questi figli le portò bene, tanto che visse fino a 99 anni e sei mesi. Peccato! Si confuse per poco e niente per arrivare a 100, che allora era più raro di oggi, dato che la vita media era molto più bassa. Ogni tanto le veniva un infarto ed il medico diceva a sua figlio “ Don Savinu, un poco di pazienza, che ci vuole fare, l’età è quella che è.” Ma lei questi mali se li scrollava come se avesse avuto l’influenza. Si vede che aveva un rapporto particolare con il Padre Eterno. Quando Padre Celestino, cappuccino, la confessava, non so per quali peccati, le dava la comunione le diceva “Si vede che Dio le sua pagina l’ha saltata”. Una volta al mese l’andavo a trovare, assieme alla mia famiglia, ma lei, non appena entravo si affrettava a darmi uno schiaffo e mi diceva: “Vastasu e porcu, quant’avi c’on vieni?”. Ma subito dopo mi baciava affettuosamente. E a mia moglie diceva “Portami a lana che ti faccio una sciallina”. E sempre nel dubbio che arrivasse a finirla, mia moglie gliela portava. E lei ebbe il tempo di fargliene abbastanza, che a casa ne abbiamo una collezione. La Za’ Nenè, evidentemente ben assistita da quella figlia femmina, che rimase schietta pa’ casa, tirava avanti. Fino a quando venne anche il suo turno, con grande dolore per tutti, che le eravamo molto affezionati. E certamente gioirà fra le schiere degli Angeli.
Vossabenerica, Za’ Nenè.
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