Io, che non lo conoscevo bene
di Davide
Io di notte non sogno, o almeno
non ricordo mai quello che sogno. Così a volte mi capita che sogni
ad occhi aperti, o almeno, vivo dei momenti di assenza, degli attimi in cui la
mia coscienza abbassa la guardia, si lascia penetrare da spiriti e fantasmi che
appartengono ai miei pensieri o, magari, che vagano in giro in cerca di questi
squarci. Fu così che qualche mese fa, alla
fine dell’estate, forse a causa della fisiologica malinconia che accompagna la
fine della bella stagione, che inconsapevolmente e senza un apparente valido
motivo sono stato “visitato” da un pensiero improvviso, da un ricordo
dimenticato e da tempo non frequentato. Un viso, una voce, una grande e
rumorosa risata In un istante mi è ritornato in
mente che quasi quindici anni fa, nell’agosto del ’93 fui trasferito in un
nuovo ufficio, presso l’Assessorato Regionale dove oggi tuttora lavoro. Quella estate
un avvenimento tragico e inaspettato aveva caratterizzato la cronaca locale
portando scompiglio nella vita e negli equilibri politici siciliani ed
italiani. L’uccisione di un noto politico, si disse quale segnale forte per chi
non aveva saputo o potuto rispettare certi patti e promesse, coinvolse anche me
che lavoravo in un ufficio “speciale” guidato da un personaggio di spicco del
partito della vittima, a lui profondamente legato, e poi travolto da un
processo di moralizzazione e pulizia. Venni “moralizzato” anch’io e
catapultato di punto in bianco, “per punizione” in un ufficio senza neanche la
settimana di preavviso. Due mesi in una stanza condivisa, in pieno periodi di
ferie, ovviamente senza ferie, senza lavoro, senza aria condizionata,
circondato da poche facce nuove e, a dirla tutta, sinceramente brutte. Lì conobbi un ragazzo, quasi mio
coetaneo, che in quell’ambiente di mostri mi parse una sorta di guida dantesca,
che mi permise di conoscere gli antri di quell’inferno (sensazioni che oggi
appaiono però quantomeno esasperate dalle circostanze) e, piano, piano, di
acclimatarmi. Si chiamava Giuseppe. Giuseppe
Francese. A me quel cognome non diceva
niente, ma invece avrebbe dovuto. Tutti lì conoscevano la sua storia,
o meglio, la storia di suo padre Mario. Ma io sono sempre stato un po’
superficiale e per me era solamente Giuseppe, un amico con cui parlare, ma
soprattutto ridere. Ecco, quello che ancora mi
tormenta quando ci penso, e che con lui non ho mai smesso di ridere e
scherzare. Era un fluire di battute, una
continua ricerca del divertimento e del grottesco che caratterizzava la vita
d’ufficio. Con lui non ho mai avuto una frequentazione fuori dall’ambiente di
lavoro, ma si parlava e si rideva di tutto, e mai, in quasi dieci anni, un
accenno alla sua tragedia, alla sua vita fuori di li, al suo impegno quasi
missionario, alle sue indagini giornalistiche, pur non essendo un giornalista
né pretendendo di esserlo. Qualcosa così, molti sfoghi per “cose d’ufficio”,
avvenimenti consueti per chi lavora in un ufficio pubblico dove frustrazione ed
impotenza sono le sensazioni che caratterizzano le giornate. Sue erano le battute migliori,
gli scherzi migliori, formidabili per chi viveva in quell’ambiente le sue
vignette sui colleghi, continuamente aggiornate con trovate sempre più sottili
e pungenti. Si perchè il ricordo che ho di lui è soprattutto questo, il re del
cazzeggio, quello che mi divertiva ed affascinava con i suoi viaggi pieni di
avventure divertenti, un gran fimminaro, dal fascino irresistibile, divertente
ma mai banale, la scintillante intelligenza dietro una sagace irriverenza. Caro e amato stronzo, sarà per
sempre indimenticabile per me quel giorno quando durante l’ennesima pausa
raccontasti delle vicende surreali accadute a chi lavorava con un dirigente
dalla comprovata propensione iettatoria e giù lì a ridere e citando più volte
l’innominato ti alzasti di scatto dalla sedia e la tasca della tua giacca si
incastrò sul bracciolo strappandosi. Il tuo volto incredulo, prima interdetto
poi stravolto dalla smorfia di una risata fragorosa ed interminabile che
contagiò l’intera stanza e chi c’era, me compreso. Le copiose lacrime che
sgorgavano per l’irresistibile comicità dell’accaduto qualche tempo dopo
tornarono sui nostri volti sconvolti dall’assurda tragicità degli accadimenti. E si, proprio stronzo, questo me
lo devi concedere, perché così senza preavviso una mattina di settembre hai
deciso di non venire più in ufficio, per sempre, il giorno prima ciao, come
stai, il giorno dopo addio per sempre. Dicono che eri fragile, che eri in cura
da uno psicologo, che sentivi forte il vuoto della vita attorno a te, che hai
parlato al telefono con tua madre, le hai detto ci vediamo fra un po’, che hai
passeggiato il cane, sei tornato a casa e ti sei impiccato con lo stesso
guinzaglio. Dicono….loro, che ti conoscevano bene. Io no, io forse non ti
conoscevo bene ma sai, mi devi perdonare, sono sempre stato un po’
superficiale. Avevo fatto finta di niente, la
tua visita di fine estate l’avevo relegata ad un semplice attacco di nostalgia,
di malinconia cattiva. Ieri però sei tornato, nuovamente
inaspettato, sarà questa strana e tenera atmosfera natalizia mista di gioia e di
un velo di tristezza. Così ho cercato su internet ed ho trovato un sito www.fondazionefrancese.org che
parla di tuo padre e di te, ho scoperto che quest’anno, il 2 settembre sono
passati cinque anni da quel giorno, che hanno pubblicato un libro su di te, che
alcuni degli amici e colleghi comuni non ti hanno dimenticato e scrivono di te. Io, che sono venuto al tuo
funerale ed alla messa per il tuo primo anniversario e che pensavo poi di
averti dimenticato, ho scoperto che ti voglio ancora bene. Mi piace pensare che
quel giorno di fine estate fosse proprio il 2 settembre e che in qualche modo alla
celebrazione del tuo anniversario tu mi ci abbia portato. La parte importante della tua vita, quella
della denuncia politica, della lotta alla mafia sicuramente interesserà chi
leggendo queste righe vorrà visitare il tuo sito , ma io voglio ricordarti
senza retorica, voglio un pensiero di te che sia strettamente legato a me e non
omologabile e appropriabile dalla cultura antimafiosa, quella tua fragorosa
risata, straordinaria nella sua normalità davanti alla violenza del mondo
infame e corrotto. Per sempre tuo, Davide
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