COCCODRILLO(NE) PER UNA LIBRERIA
di Davide
La libreria un tempo era un
negozio molto particolare, quasi un tempio, un luogo per colti lettori o
studiosi sfigati, dove ci si andava solo per acquistare e il rapporto tra
l’acquirente lettore e l’oggetto del desiderio, il libro, era irrimediabilmente
mediato dal negoziante al di la del bancone. Dietro le sue spalle i libri,
accatastati, impilati negli scaffali, quasi celati alla vista indiscreta e
volgare del popolo guardone.
Poi, la novità.
In principio fu la Libreria Feltrinelli,
quindi Sellerio vicino a piazza Croci, Flaccovio in via Ruggero Settimo e poi
tante altre. La libreria si era aperta, era esplosa ed i libri si erano
sparpagliati per il negozio. Brillavano le copertine, illuminate e finalmente
svelate, potevi vedere, toccare, sfogliare, perché no annusare i libri ormai
liberi dalla prigione polverosa dei ripiani, divenuti veri protagonisti,
perdendo la loro sacralità e scendendo tra i mortali proponendosi come oggetti
di consumo del supermercato dell’intelletto.
In certi casi magari potevi anche
leggerli, magari a rate. Certo quando al terzo, toh quarto incontro, ti rendevi
conto che non c’era feeling lo mollavi senza troppe storie ma quando trovavi quello
che faceva per te la cosa diveniva seria, la relazione durava almeno un mese e, quando lo
avevi finito, non potevi fare a meno di acquistarlo, di portarlo con te per
rileggerlo con un gusto ed un piacere nuovo, come quando parti per una vacanza sulla
tua isola preferita, alloggiando nella solita bella, accogliente casetta sul
mare, vecchia compagna di tempi passati e comunque sempre nuova e calorosa.
Insomma la libreria è così
divenuta un appuntamento fisso delle passeggiate, un posto dove trascorrere
mezz’ora immerso in una realtà diversa, quella della letteratura e,
soprattutto, della lettura, condizione quasi metafisica per i nostri tempi
veloci; entrarvi significa abbandonare il mondo fuori e ritagliarsi un po’ di
tempo per sé, volersi più bene, farsi una carezza e tuffarsi dentro i mondi e
la vita di autori e personaggi dalle storie provenienti da posti lontani e
fantastici.
Così anch’io, seppur pessimo
lettore e scarsissimo conoscitore della letteratura passata e presente sono
diventato un assiduo frequentatore delle librerie; all’inizio ho saltato un po’
qua e un po’ là in cerca del “mio” posto, quindi ho trovato la “mia” libreria.
La Mondadori di via Roma è
diventato il mio appuntamento settimanale per diversi anni. Accompagnato da mia
moglie, vera divoratrice di testi, elemento di compensazione culturale alla mia
abulica ignoranza, ho “arato” metro su metro, tutta la superficie del negozio
sostando di isola in isola, prendendo in mano libri di tutti i generi e tipi,
dal best seller, al saggio sconosciuto, attirato da titoli e copertine (tra le
più belle e curate quelle della casa editrice Guanda), sfogliando pagine e
pagine, atterrito dalla loro quantità (non riuscirò mai a leggere un libro con
più di 200 pagine!!!!) e dai caratteri (pessimi e repellenti quelli della
Einaudi); soprattutto leggendo terze e quarte copertine, divenendo così un
grande conoscitore di autori e storie senza in realtà averne mai letta una.
Però, anche così, che fascino, che eleganza in quella carta, ruvida o satinata,
lucida, colorata o giallastra. Quando aprivo le doppie porte a vetro
dell’ingresso, mi sentivo a casa; salutoni dalla cassa dal “titolare” (prego
gestore in franchising), magrissimo e sempre abbronzato, praticamente calvo, dallo
sguardo un po’ allucinato, dal vestire e agire “alternativo” e dai modi
informali e amichevoli. Con lui si era avviato un rito natalizio, quello della
recensione – sfottò della strenna immancabile di Bruno Vespa, testo di culto di
teledipendenti appassionati della politica “libera ed indipendente”.
Particolarmente interessante fu l’anno in cui il libro uscì in versione deluxe
con raccoglitore rigido in finta radica di noce, tipo sabot per giocate a carte,
utilissimo a prescindere dal contenuto, ahimè francamente inutilizzabile per
menti di ogni tipo e capacità. Altra mia tappa obbligatoria era il reparto
ragazzi e bambini, “gestito” da una giovane ragazza con coda di cavallo a cui
non sfuggiva una novità e che ormai conosceva i miei gusti e, soprattutto,
quello dei miei figli.
Eh si, perché, questione non
trascurabile, alla libreria Mondadori devo la formazione di giovani lettori dei
miei due figli, che hanno prima devastato, leccato, stropicciato libri di tutti
i colori e fogge, dalle copertine animate e sonore, salvati ogni volta a pochi
centesimi di secondo dalla distruzione, poi hanno occupato con passione le
piccole sedie colorate poste nella loro area ed hanno cominciato a leggere e
leggere e leggere davanti ai miei occhi inorgogliti, atterriti, umiliati (dalla
mia incapacità di lettore di gazzette dello sport).
Un altro “personaggio” imprescindibile
era il mio concorrente di quiz preferito, un omino dall’età indefinita, tra i
venti ed i quaranta, calvo con pizzetto e carnagione pallida da topo di
biblioteca, timidissimo ma preparatissimo e soprattutto pronto alle mie
richieste più folli e imprecise tipo “Ho sentito parlare di un nuovo libro,
uscito da poco… ma no pochissimo… credo di un autore straniero, nordico, tipo
olandese, un giallo o forse no, mi sembra pubblicato da Sellerio ma potrebbe
essere Adelphi, certamente con la copertina gialla, ma no gialla gialla,
insomma colorata…non è che per caso sa di che parlo”. Lui avrebbe certamente
voluto rispondere, “Ma perché cazz… non
ti appunti quello che vuoi prima di partire da casa, non ti segni chessò il
titolo, magari l’autore, ma è mai possibile che non c’è una volta che ne dici
una giusta!!!!!!”, però scava scava con pazienza, alla fine trovava quello che
volevo (ma che in verità non sapevo neanche io) e che, per esempio, era alla
fine un libro Einaudi, dalla cortina bianca, pubblicato due anni prima da una
famosa saggista americana.
Da tre giorni l’uso fatto sopra
dei verbi tutti al passato è giustificato.
Infatti la “mia” libreria
Mondadori non c’è più, ha chiuso per sempre per lascare spazio ad imponenti
lavori di ristrutturazione di tutto l’edificio che fa angolo con Piazza S.
Domenico, che un tempo ospitava la
UPIM (a proposito ricordo che anni fa vi “rubai” assieme ad
un altro “fissa” una racchetta da ping pong e… però, è un’altra storia) e che
adesso si prepara a diventare la nuova sede della Rinascente. E’ un progetto di
cui si parlava da qualche anno ma che improvvisamente, dopo un periodo di
silenzio, è divenuto realtà con appena una settimana di preavviso, sancendo così
la morte, non senza spargimento di sangue, della migliore, più accogliente e
scomoda libreria della città.
Avrei voluto tributarle il mio
omaggio molto prima, ma, sinceramente, dopo aver appreso la luttuosa notizia
così per caso ed improvvisamente dopo una visita in cerca di libri da regalare,
sono rimasto basito e ho rimosso l’accadimento.
Negli ultimi tre giorni di vita della
libreria mi sono però ritrovato al suo capezzale andando via tra addii e libri
scontati, ogni giorno pensando che fosse l’ultimo.
Ci eravamo ripromessi (io e la
libreria) di non vederci martedì mattina, ultimo giorno, ma non sono riuscito a
mantenere la promessa e sono comunque passato di lì senza entrare per osservarla
per l’ultima volta con le vetrine colorate dai libri. Ci siamo salutati con un
arrivederci perché, a quanto riferito, sembrerebbe che debba rinascere entro
otto – nove mesi (mizzica una gestazione) a lavori ultimati anche se altrove,
magari al piano terreno della Rinascente o forse a quello dei suoi vecchi
locali, in via Ruggero Settimo dove aprirà un colosso inglese dell’abbigliamento
“economico”. Sarà, ma forse per colpa del pessimismo cosmico siculo che non ci
permette di guardare al di la di scadenze che superano la settimana o perché in
Sicilia non c’è più definitivo del provvisorio, non riesco a colmare il mio
luttuoso vuoto.
In una città i negozi vanno e
vengono, tra fortune e fortunali, secondo un principio di evoluzione economica
e di costume, cambiamenti che segnano nuove tendenze di modernità. Però è certo
che quando da città come Palermo spariscono “luoghi” che hanno fatto la sua
storia e la sua cultura contemporanea, le sue tendenze, come Elleppì, Spadafora
o Mondadori ma anche i grandi storici bar, da Rooney e l’Extrabar, lo strappo
lascia il segno e la cicatrice resta profonda. Al loro posto una vera invasione
di negozi di abbigliamento dalla “personalità” impalpabile, dalla presenza
trascurabile, dalla qualità discutibile o dai prezzi inavvicinabili ricoprono
col loro cattivo gusto gli spazi della memoria di una città frutto della nuova
tendenza dell’apparire e dell’omologazione griffata dove la cultura si scriva
con la K degli SMS.
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