Adesso che le luci si vanno spegnendo proviamo a fare
qualche considerazione su questa strombazzata edizione di Sanremo 2009, che gli
ascolti hanno premiato in maniera consistente.
Innanzitutto le cose positive: indubbiamente il fiore
all’occhiello della manifestazione è stata la serata di giovedì durante la
quale padrini (o mentori come li chiamava Bonolis) di nome affiancavano le
dieci giovani speranze. La serata con i giovani era tradizionalmente la più
noiosa del Festival ed anche la meno seguita e con questo escamotage Paolo
Bonolis l’ha fatta diventare forse l’appuntamento più atteso della kermesse
canora. Tra momenti esaltanti (Burt Bacharach, il gruppo di Zucchero, Vandelli,
Battaglia e Zanotti, Lelio Luttazzi) ed altri un po’ così (Pino Daniele,
Roberto Vecchioni, Lucio Dalla), l’attenzione dello spettatore non è mai
scemata, anche se alla fine la serata è risultata fin troppo lunga.
Bene anche il coinvolgimento del pubblico a più riprese da
parte di Bonolis, un pubblico, quello del teatro Ariston, noto per essere tra i
più ingessati e freddini tra quelli che assistono a spettacoli televisivi. Non
è un mistero che molti signori con relative consorti ingioiellate vanno a
seguire Sanremo solo per farsi notare o riprendere. Quest’anno invece c’è stata
a tratti una vera partecipazione del pubblico ai momenti dello spettacolo.
Memorabile la vittoria tra i giovani di Arisa con il suo
look alla Irene Fargo versione dimessa (chi se la ricorda?) che ha presentato
un brano, “Sincerità”, di sicura presa ed arrangiato benissimo nelle due
versioni con l’orchestra e con il maestro Lelio Luttazzi. Ottima per altro la
scelta di farsi affiancare da quest’ultimo, visto che il tipo di pezzo si
prestava ad altre soluzioni più nazional-popolari ma meno raffinate (mi viene
in mente Renzo Arbore…). Personalmente ho apprezzato anche Karima, in gara con
una canzone in stile “bacaracchiano” ed accompagnata da una leggenda vivente
come il summenzionato Burt.
E veniamo alle note dolenti, ovvero gli artisti. Intanto che
siano proprio loro la nota dolente, visto che dovrebbero essere la parte più
importante dello show è un fatto grave. Intanto il numero iniziale di sedici,
visto che ci sono tante eliminatorie è troppo basso. La serata finale erano solo
in dieci a cantare e poi è stato un noioso stiracchiarsi di momenti di
spettacolo (?) dilatati oltre misura. Magari salviamo la canzone di Annie
Lennox, ma è un po’ poco in una serata finale…si poteva fare una prima serata
con venti artisti, spostando quindi le quattro nuove proposte esibitesi martedì
alla serata successiva, con quattordici finalisti.
Inoltre se parliamo della qualità delle canzoni il confronto
con le due edizioni precedenti (firmate Baudo) non regge. Personalmente penso
che l’unica canzone veramente interessante, che spingesse al riascolto, fosse
quella degli Afterhours (“Il paese è reale”), meritatissimo premio della
critica. Poi se ci si vuole accontentare avevano una buona canzone anche Patty
Pravo, Marco Masini, Nicky Nicolai e Iva Zanicchi. Gradevoli anche Alexia-Mario
Lavezzi, Al Bano e con un po’ di buona volontà Francesco Renga. Il trio Pupo,
Paolo Belli e Youssou N’Dour si salvava solo per i vocalizzi di quest’ultimo,
mentre personalmente ho trovato insignificanti le canzoni di Dolcenera e Fausto
Leali. Da bocciare (come in effetti è successo) Tricarico che ha cantato
stonando una canzoncina molto esile, nemmeno lontana parente dell’interessante
“Vita tranquilla” dello scorso anno. Velo pietoso sui Gemelli Diversi.
Rimangono i tre vincitori: di Povia si è scritto e detto
tanto. E’ una canzone che rimarrà perché è molto orecchiabile, ma il testo
sconta il difetto di tante fiction della nostra televisione recente: quello di
pensare che la vita sia un’operazione matematica…siccome mio padre si
comportava così e mia madre cosà allora io sono diventato omosessuale. In
realtà sappiamo tutti che la vita è molto più complessa e 2+2 non fa sempre 4,
però un 4 a Povia glielo possiamo dare per aver portato una canzone del genere
a Sanremo, no?
Sal Da Vinci, protetto da Gigi D’Alessio che ha duettato con
lui nella serata di venerdì ha rischiato l’eliminazione finchè a votare erano
le giurie, ma poi è arrivato terzo grazie al televoto (un metodo di votazione
che non ha convinto granchè, perché facilmente manipolabile dalle stesse case
discografiche). Cosa dire su di lui? Ha presentato una canzone con parole di
D’Alessio e musica sua ma che sembrava scritta da D’Alessio e ovviamente faceva
pena. Mi dicono che avesse tentato per una dozzina d’anni di seguito di
arrivare al Festival senza successo…obbiettivamente non riesco ad avercela con
chi l’ha escluso per tanto tempo.
Notazione finale per il vincitore, tal Marco Carta. Canzone
costruita per vincere Sanremo (e quindi per nulla nuova, come bene ha fatto
notare Gino Castaldo di “Repubblica”), intonazione approssimativa in alcuni
passaggi e voce latitante…se queste sono le speranze della canzone
italiana…D’altra parte è difficile che da programmi come “Amici” vengano fuori
cantanti con grande personalità, visto che in quel programma tutti ti danno
consigli su come devi cantare…
Per finire trovata geniale di Bonolis e della Rai: visto che
questo doveva essere il Festival della rianimazione di Sanremo (visto il
nutrito calo di ascolti dello scorso anno), bisognava solo parlarne bene, e
quindi niente Dopofestival (terreno fertile per le critiche dei giornalisti) e
interviste affidate al “cattivissimo” Vincenzo Mollica. Ma insomma in questo
paese non si può proprio criticare niente, neanche Sanremo…
Luca era gay ... interpretata da Elio e le Storie Tese