Buone nuove dal fronte del rock. Ritornano gli U2.
di Davide
Oggi esce ufficialmente,
ma da un paio di settimane circolava integralmente su canali ufficiali e
(soprattutto) non, l’ultimo “disco” degli U2, No line on the horizon. Quindi ho
avuto modo di ascoltare con attenzione ogni pezzo e la buona notizia per amanti
del rock e fans sfegatati (come me) è che finalmente il gruppo irlandese da segni evidenti di
ripresa riuscendo ad trovare un equilibrio tra le vecchie (e belle) radici
degli inizi e la voglia di rinnovamento che passando dal bellissimo Achtung
baby li aveva condotti su terreni elettropop estremi e, spesso, sconcertanti
anche se di (incomprensibile) successo, culminati con Pop del 1997. Poi
all’inizio del nuovo millennio la
ricerca di un ritorno al passato che ha prodotto albums poco ispirati e molto
eleganti, quanto “borghesi “ che se da un punto di vista commerciale e di
popolarità hanno mantenuto il gruppo ad alti livelli hanno dato un preoccupante
segnale di “invecchiamento” relegando gli U2 alla classicità, immortale,
intoccabile ma alquanto imbalsamata. Lasciando soprattutto il campo ad altri
gruppi “di derivazione” o quantomeno di chiaro riferimento, come i Coldplay
che, tranne il bellissimo esordio, hanno di
volta in volta ispirato i loro albums al sound U2, a volte in maniera
imbarazzante come nel pluripremiato Viva la vida.
In questo nuovo lavoro
gli U2 riescono dove gruppi storici, veri caposcuola di genere, hanno
miseramente fallito, come i Metallica, che, nel voler riaffermare la propria
leadership, si sono persi in continue riproposizioni anacronistiche della
propria musica, risultando, alla fine pessimi imitatori di se stessi. Non
troverete quindi in No line i vari Pride
II ma un vero e piacevole recupero
dell’essenza e dei caratteri del suono del gruppo irlandese, un ritorno ai
tappeti musicali di chitarra, alla ritmica “sporca” , ai crescendo dei
ritornelli accompagnati dal charleston e dai tamburi, dal pianoforte di “New
year’s day”, dai cori “oh-oh-oh” di
“With or without you”, che hanno
accompagnato le canzoni degli U2 fino alla svolta “americana”. Il tutto
impiantato in canzoni “moderne” prive di echi retrò o sterili nostalgie, che
non “somigliano a” ma “suonano come” senza rinunciare al percorso seguito dal
gruppo nella sua storia. Insomma una sorta di compendio particolarmente riconoscibile
a chi ha amato e ascoltato ogni loro canzone. E non mancano alcune interessanti
novità come gli assolo di chitarra limpida e pulita (alla Gilmour per
intenderci) o le prolungate parti strumentali
con variazioni sul tema musicale in Moment of Surrender e in Unknown
caller. Un “disco” che va ascoltato ad alto volume, per apprezzarne la rinnovata “potenza” sonora
soprattutto per i due pezzi d’avvio, e
riprodotto da un impianto decente (quindi possibilmente niente i – pod e
assimilabili) per leggere la raffinatezza e particolarità degli arrangiamenti
(mirabile la produzione dello storico trio Eno – Lanois – Lillywhite complici
di gran parte della storia musicale degli U2).
Tra le debolezze
dell’album forse la mancanza di veri pezzi memorabili (nel senso che restano
subito nella memoria) o immediatamente orecchiabili (non c’è neanche la
ballatona epocale), nonché una evidente flessione nella seconda parte della
tracklist, più pop e “rilassata”, con una conclusione un po’ debole che chiude
stancamente i 50 e passa minuti di ottima musica. Non saremo davanti ad un
capolavoro ma a suo modo, almeno spero, ad una pietra miliare della musica
degli U2, un punto di ripartenza, un auspicio per un nuovo futuro più radioso.
Allora bentornati U2 e finalmente, in tempi di magra, una buona notizia per gli
amanti del rock e della buona musica.
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