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19 maggio 2009

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana da Sanremo in poi - Un vento nuovo?

di Dario Cordovana



E’ un fatto acquisito: se vi dicono 1966 penserete al massimo all’alluvione di Firenze, ma se vi dicono 1968 si pensa a rivoluzioni, proteste, mondo in rivolta e chissà cos’altro. Del resto c’è bisogno di rammentare le proteste degli studenti di Parigi, gli assassini di Martin Luther King e di Robert Kennedy (che in realtà da un certo punto di vista sono l’inizio della fine della speranza di cambiare il mondo)? Era in realtà nel 1967 che Jim Morrison dei Doors urlava al mondo: “We want the world and we want it now!” (“Vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso!”). Già alla fine del ’68 invece John Lennon intonava la sua “Revolution” in un mare di dubbi e incertezze.
E in Italia? Be’ come al solito noi eravamo un pochino in ritardo sui tempi, ma qualcosa si muoveva. La prima vittoria di un cantautore (Modugno a parte) a Sanremo ne era un esempio. In fondo però quelle di Endrigo erano solo canzoni d’amore, seppur bellissime. Ma nel ’68 Enzo Jannacci ottiene il suo più grande successo con “Vengo anch’io no tu no” che lungi dall’essere solo un’innocua allegra canzonetta viene invece salutata dalla critica come “l’inno degli esclusi”.
Sempre quell’anno Fabrizio De Andrè, rinvigorito dalle royalties piovute grazie all’interpretazione de “La canzone di Marinella” da parte di Mina, faceva uscire l’album “Tutti morimmo a stento”, primo esempio di album concept in Italia.
Fabrizio De Andre’, inizialmente noto come Fabrizio per via delle resistenze della famiglia a far comparire il cognome, aveva già pubblicato una miriade di singoli nel corso degli anni sessanta, tutti pezzi poi diventati famosi e in massima parte da lui riincisi successivamente. Nel 1967 il primo album, con l’omaggio a Luigi Tenco di “Preghiera in gennaio” e la celebre “Bocca di rosa”; possiamo però considerare “Tutti morimmo a stento” il primo progetto organico legato ad un’idea di album.
E’ in effetti la prima volta che parliamo del 33 giri. Non che gli album non esistessero già prima, ma si trattava in massima parte di raccolte di singoli già usciti in precedenza alle quali veniva aggiunto qualche (raro) pezzo nuovo di contorno. Anche Francesco, poi Guccini, detto “L’allegrone”, nel 1967 aveva fatto uscire il suo “Folk Beat n°1” che conteneva oltre a pezzi nuovi, i brani che erano stati eseguiti in massima parte dai Nomadi (“Noi non ci saremo” e “Canzone per un’amica” alias la terrificante “In morte di S.F.”: “Lunga e diritta correva la strada…” Brrr! Ogni volta che entro in una macchina ci penso…), e dall’Equipe 84 (“Auschwitz” ovvero “La canzone del bambino nel vento”, tipica canzone utile per rallegrare le feste: 1) Prendere in mano una chitarra 2) Rivolgersi ad un gruppo di amici particolarmente allegri dicendo:”Vediamo se vi ricordate questa… 3) Intonare: “Son morto che ero bambino…” effetto assicurato).
Neanche i primi album di Battisti faranno eccezione. Il mercato insomma viene ancora trainato dal 45 giri ed è difficile trovare qualcuno che vada oltre l’idea di canzone singola. Ma la storia presenta corsi e ricorsi ed ecco che ai giorni nostri, dopo anni di 33 giri e CD, con il download la canzone singola è ritornata al centro dell’attenzione. Certo si può scaricare anche un album intero, ma è come se con l’assenza del supporto fisico l’album abbia perduto gran parte del suo appeal…

Mina e De André: La Canzone di Marinella


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