Recensioni: The Life of David Gale
di Davide
Ci sono delle serate che sembrano
tutte uguali a se stesse, dalle quali non ti aspetti niente di diverso che una
lunga agonia televisiva verso il sospirato riposo, un dormiveglia in preda alla
fatica quotidiana che faccia da congruo antipasto ad un comatoso sonno
notturno. Scorri i canali sul telecomando,
provvedendo ovviamente a saltare quelli delle TV nazionali “tradizionali” e
passando direttamente al satellite, panacea di tutti i mali catodici….Niente
neanche lì, così gira che ti rigira mi ero quasi rassegnato ad una replica su
raisatextra di “Ballando con le stelle” ottimo per favorire l’assopimento con
un certo brio quando non so perché misteriosamente mi sono imbattuto in un film
su Rete 4. Si avete capito bene, proprio il canale delle telenovelas, dei TG di
Fede e dei da me più volte vituperati “Bellissimi”. Titolo “De laif ov Devid Gheil”. Mah, non mi dice niente…. Genere drammatico. Ummh..no, meglio l’appisolamento
gioioso e ballerino…però qualcosa mi ferma… Attori Chevin Spesei, Cheit
Uinslet e Laura Linnei, insomma, mica male, oscar e nomineicion a buttarsi.
Diamogli fiducia. E così sono rimasto incollato,
copiosa pubblicità compresa, per circa 3 ore davanti allo schermo senza neanche
un cedimento, una perdita di conoscenza, che poi si concede quasi a tutto
soprattutto se la sua durata supera la mezzanotte e domani la sveglia suona
alle 6. Una trama incalzante, uno di quei
film “camuffati”, sembra un pamflè drammatico ed invece poi assume quasi i toni
del triller e quindi del giallo, assassino compreso, con un messaggio di sfondo
profondamente sociale: la pena di morte. Si tratta infatti della “triste
storia” di un professore universitario americano, (Spesei) lider di un
movimento contro la pena di morte, che vive una vita felice, appagato professionalmente
e sereno (anche se non troppo) padre di famiglia di un affettuoso bimbo. Poi di
colpo, una festa, uno sbaglio, la storia di una sera con una studentessa e
tutto crolla precipitosamente. L’accusa di stupro, l’allontanamento
dall’università, l’abbandono della moglie che fugge in Spagna, bambino al
seguito, la perdita della casa, l’alcoolismo. Anche l’organizzazione antigovernativa
lo estromette; gli rimane solo l’amicizia di una sua collega militante (la Linnei), che poi si scopre
malata di leucemia. E qui si apre un nuovo scenario
perché la collega viene trovata uccisa in maniera orrenda, tutte le prove
portano a lui che viene incarcerato e condannato alla pena capitale. La storia viene raccontata
attraverso due percorsi narrativi paralleli, quello del protagonista che rivela
gli accadimenti ad una giornalista (la Uinslet) tre giorni prima di essere giustiziato
ed una serie di flesc – bech che vivacizzano lo snodarsi della vicenda in un
crescere continuo di ritmo e di coinvolgimento emotivo verso l’inaspettato e sorprendente
(ma solo per i meno “sgamati”) epilogo. Riuscirà la nostra eroina a salvare il
presunto innocente in tempo prima che lo accoppino e che diventi l’ennesima ics
sul “muro delle facce” dei giustiziati presso la sede dell’associazione (luogo
dove regolarmente si infrangono i vani sforzi degli attivisti, Linnei compresa),
e, soprattutto, lui sarà veramente innocente e se si chi è l’assassino e perché
vuole incastrarlo? Non voglio rivelarvi niente ma vi voglio
lasciare con un indizio, come faceva, quando ero bambino Elleri Quinn nei suoi
cervellotici ed affascinanti telefilms in TV: occhio a quello che il
governatore gli dice durante il faccia a faccia televisivo. Una ultima considerazione: la
qualità certo non viene dal nulla, non è un colpo di culo e la conferma di ciò
è, allo scorrere dei titoli di coda, la scoperta del nome del regista, Alan
Parcher, (mica Neri Parenti), uno che da anni, con lunghe pause di riflessione,
ci riserva piccoli capolavori, dal più vecchio Feim, il Saranno Famosi
cinematografico, a Bird, da Eigel Art a Missisipi Burningh, dove anticipa la
tematica sociale, in quel caso del razzismo americano negli stati del sud
durante gli anni ‘50, “vestita” da elegante triller dai toni neri come la
coscienza di chi sopprime “il diverso” per affermare la supremazia della
propria “razza” o, nel nostro caso, uccide nel nome della giustizia e della
volontà del popolo bue.
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