S. Andrea Avellino
di Andrea Basso Sr.
“Oggi tu fai u santu”, mi disse mia madre la mattina di un 10 Novembre di tanti anni fa, quando lei evidentemente ritenne che ero già nell’età della ragione.
“Tu u santu non lo fai per S. Andrea Apostolo, che è il 30 Novembre, ma il 10 che è S. Andrea Avellino”. “E picchì?”, chiesi io ingenuamente. “Perché mio fratello, nonché tuo zio e parrinu, di cui porti il nome, lo fa per S. Andrea Avellino”, rispose seccamente lei. “E picchì?”, ribadii io. “Picchì il padre di tuo nonno lo faceva pure lui quel giorno. E uora zittuti e vatinni, ca già mi ruoli a tiesta. Auguri”.
Certamente ci sarà stata un’atavica devozione familiare per questo Santo, che è protettore contro la morte improvvisa, dato che così un giorno lui concluse la sua vita terrena, il 10 Novembre del 1608, alla veneranda età di anni 87.
In verità, quando nacque, suo padre Giovanni Avellino gli impose il nome di Lancellotto. Ma lui, quando decise di lasciare la brillante carriera forense per entrare nella congregazione dei Teatini, prontamente lo cambiò con quello di Andrea, l’apostolo della croce. Bontà sua. Altrimenti oggi potrei chiamarmi Lancellotto,che , con tutto il rispetto, non è che mi piaccia granchè. Lancellotto Maria Goffredo, per la precisione, dato che il mio secondo nome lo pretese mia madre, mentre il terzo, secondo gli usi di famiglia, mi spettava d’obbligo, essendo nato nel giorno di tale santo.
Per la verità, devo dire che, fino ad oggi, questo santo si è comportato molto onestamente, sia con me che con i miei antenati che hanno portato questo nome, i quali sono pure passati a miglior vita, come era loro diritto, ma senza premura, con tutta tranquillità ed avendo il tempo di passare ai distinti saluti.
Non ho mai conosciuto qualcun altro che fosse stato votato a questo santo , che a Palermo, è venerato nella chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, ai Quattro Canti, tranne i miei antenati di cui sopra e mio nipote Andrea, al quale sua madre la mattina di un 10 Novembre di alcuni anni fa, quando evidentemente ritenne che era giunto nell’età della ragione, gli spiegò il fatto.
Avere un santo privato, di famiglia, certo non mi dispiace , ma anzi mi fa sentire un privilegiato. E ciò poi comporta il ricevere gli auguri due volte l’anno: il 10 Novembre da parte di quegli intimi che lo sanno e che sono pochini per la verità, e si sentono pure loro dei privilegiati , ed il 30 dagli altri che conoscono il Santo più famoso. E non gli puoi dare torto.
A quei tempi, i festeggiamenti per l’onomastico si chiudevano velocemente lì, quando si ricordavano di ricordarti che era la data della tua festività, che non era sempre, aggiungendoci pure un colpo di “Auguri” , che era il massimo.
Oggi invece i tempi sono cambiati ed ai festeggiamenti ci si incomincia a pensare molti giorni prima. “Quest’anno chi ci faciemu o picciriddu?” Ed effettivamente è un problema serio, perché u picciriddu già ci ha tutto, pure il superfluo. E però qualcosa gli si deve donare sempre. Gli si organizza una festa, a cui vengono invitati i suoi compagni di classe, che è d’obbligo, oltre alcuni dell’anno prima ed altri di quello dopo, nonché i bambini dei parenti e degli amici che altrimenti se la prenderebbero a male.
E quest’orda di bambini si presenta al gran completo, con grande compiacimento del festeggiato e degli organizzatori che considerano la loro partecipazione un segno di prova che u picciriddu non è proprio una peste ma anzi è amato da tutti i compagni che allegramente e volentieri partecipano alla festa.
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