DON CARMELO
di Andrea Basso Sr.
Spuntava dalla punta della strada, annunziato dalla sua tromba con un solo tasto e una sola nota. E ti potevi aggiustare l’orologio: le quattro e un quarto. Indossava una giacchetta bianca con il bavero alla marinara ed un copricapo, pure bianco, con visiera ed un grande fregio a forma di ancora. Così combinato, Don Carmelo avanzava pedalando lentamente sul suo triciclo, riparato da una caratteristica tenda parasole blu, e su cui erano sistemati due pozzetti di gelato. Oggi circolerebbe con tutta la sua attrezzatura sistemata su una lapa. Giunto all’altezza di casa nostra, mamma gli calava u panaru con i soldi e se lo ritirava con i cannistrini, che in seguito, con l’avvento della lingua straniera, vennero detti coni. Certo, u cannistrinu ti dava un senso di freschezza, mentre il cono ti ricorda la geometria e, di conseguenza, ti intristisce. Questa operazione era però preceduta da una sorta di sciarra giornaliera fra nostra madre che voleva comprarci quelli da due soldi e noi che cercavamo di convincerla a prenderceli da quattro. La battaglia era già persa in partenza, ma noi ci provavamo lo stesso. La scelta dell’essenza si riduceva ad una sceneggiata, in quanto Don Carmelo diceva di avere crema, crema panna, crema vanigliata, crema nocciolata. Che era sempre la stessa cosa presa dallo stesso pozzetto, ma ti dava la sensazione di una grande possibilità di scelta. Nell’altro pozzetto si trovavano cioccolata e limone. Quando chiedevamo il bis, cioè sempre, se ci andava bene, potevamo ottenere un cannistrinu da un soldo. Forse è il caso di ricordare che per soldo si intendeva la moneta minima allora in circolazione, che era quella da cinque centesimi, s’intende di lira, considerato che le monetine da uno e due centesimi erano già scomparse dalla circolazione. Cosa che sta avvenendo pure ora con i cent di euro. Quindi il due soldi era la moneta da dieci centesimi, quattro soldi quella da venti. Poi circolava la moneta da mezza lira, cioè cinquanta centesimi e quella da una lira. Seguiva la moneta cartacea. Per ritornare ai gelati, Don Carmelo, oltre ai cannistrini di cui sopra, per mezza lira ti faceva la Challot, che preparava con un’apposita macchinetta: sfoglia di ostia rettangolare sotto, gelato al centro e altra sfoglia sopra. Il tutto ben pressato. Ma per ottenere la Challot doveva essere una festa importante, tipo quella della Madonna Assunta, oggi impropriamente detta Ferragosto. E quando passava la Madonna Assunta, si mettevano i copriletti ricamati sulle ringhiere dei balconi, quei copriletti che erano l’orgoglio della dote portata dalle mamme e che si mettevano solo per la nascita di un figlio e per questa importante festa. Quando Don Carmelo non passava più, era un brutto segno. Significava che l’estate se n’era andata e stavano per ricominciare le scuole. Un’asticciola costava due soldi, quella scarsa, mentre pennini ce n’erano da un soldo e da due. L’asticciola scarsa aveva due vantaggi: costava di meno e te la potevi facilmente rosicchiare. Il pennino scarso si scancherava facilmente ed era più macchioso. Ma bisognava accontentarsi. Un’altra cosa che ti potevi agevolmente rosicchiare, erano le punte del colletto bianco d’ordinanza, che andava messo sul grembiule nero, su cui, nella parte alta a sinistra, era apposta una striscetta tricolore, con su scritto “VINCEREMO”. Quando entrava la maestra, tutti ci mettevamo in piedi, mentre il capo classe, primo gradino della gerarchia di partito, che in genere era lo sgobbone che aveva pure la fama di essere la spia della maestra, faceva il saluto fascista. Seguiva il segno della croce, un Padre Nostro, il canto della Marcia Reale e di Giovinezza. Quindi inizio delle lezioni. Camurria. E nel periodo invernale Don Carmelo, per camparsi la famiglia, arriffava soldi. Si girava il rione con quella cartamoneta attaccata ben in vista sulla sua giacchetta con dei spilloni da nutrice e, ad alta voce diceva: “L’ultimi due ci sunnu, e poi tiramu.”, riferendosi ai numeri che andava vendendo ed alla conseguente estrazione di quello vincente. Estrazione fatta da un bimbo bendato. Quindi Don Carmelo si rigirava il rione tenendo ben in alto il numero estratto e dicendo:” Quarantaquattru nisciu, e su pigghiò u Zù Pippinu.” Era il massimo della trasparenza.
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