MARCA BRACCIO
di Andrea Basso Sr.
Quando si buttava lo scirocco, certo erano guai, in quanto i mezzi di difesa che avevi a disposizione erano veramente scarsi.
L’aria condizionata non l’avevano inventata, come pure il frigorifero.
Certo, Marconi aveva di recente inventato la radio, e non è che si potevano inventare tutto insieme. Che, d’altra parte, non sarebbe stata nemmeno una cosa conveniente, per loro, dal punto di vista del mercato.
Per prima cosa, potevi tendere le orecchie e, quando sentivi abbanniari “Jacciu!!!!” era segno che stava passando don Cecè che, spingendo il suo carrettino a mano, offriva in vendita al popolo sudato il ghiaccio: ben avvolto in un sacco di iuta, ne teneva alcuni blocchi, che aveva comprato alla fabbrica del ghiaccio, sita in via Serradifalco, accanto alla raffineria del sale marino. Non vorrei sbagliarmi, ma le due suddette attività esistono tuttora.
Quando lo chiamavi, tirava fuori un punteruolo con cui, con colpo fermo, spezzava un pezzo di ghiaccio e, dopo averlo pesato, che a peso lo vendevano, te lo riponeva nella mappina che preventivamente, all’uopo, gli avevi calato con il panaru. Ritirandosi i soldi. Il ghiaccio, specie durante le sciroccate, era provvidenziale. Ma ci aveva un suo preciso difetto: se non consumato subito si squagliava, ed avevi perso tempo e picciuli.
E allora, tagliato a pezzetti, lo mettevi in un bel boccale d’acqua, che subito si rinfrescava. Quindi ne riempivi un bicchiere e, dopo un’abbondante spruzzata di zammù, che gli conferiva quel caratteristico color latte, te lo calavi. Ma a sorsi, per evitare che ti ghiacciasse lo stomaco.
Questo, come primo accomodo, andava bene. Ma il massimo era la preparazione della granita.
Ecco il procedimento: il pezzo grosso del ghiaccio si raschiava con una speciale grattugia, che non ho più visto in giro. Quindi si metteva nei bicchieri, con l’aggiunta del succo di limone e di un po’ di zucchero.
Per preparare un’ottima bibita, invece il ghiaccio grattato si metteva in un apposito contenitore, unitamente al caffè. Si agitava per bene, tipo maracas, e il frappè di caffè era pronto per servirlo. Una variante consisteva nel mettere, al posto del caffè, sciroppo di amarena.
E dopo ti potevi sedere nel balcone, sperando che arrivasse un po’ di venticello. Ma sempre venticello di scirocco era.
Allora non restava che andare verso le catacombe dei Cappuccini, per noi che abitavamo nella zona, dove il custode conoscente ci faceva entrare. E lì certo che il fresco lo trovavi. Era una versione economico-popolare di quella che era la stanza dello scirocco nei palazzi dei ricchi.
Turisti non ne esistevano. Le mummie non erano un problema, in quanto erano molto tranquille già d’allora. E poi ci conoscevano da bambini. Ti portavi un mazzo di carte, che lì un posto per sederti lo trovavi di certo, e passavi qualche ora tranquillo, dimenticandoti dello scirocco che c’era fuori. E così ti rinfrescavi un po’.
E quando lo scirocco abbacava, allora si che era il caso di farsi quattro passi verso i Quattro Canti. Entravi all’UPIM e passavi un poco di tempo, guardando le commesse e la merce.
Ma quando aprì la Standa in via Ruggiero Settimo, allungammo il passo fino a questo nuovo negozio. Il motivo era semplice. Trattandosi di nuovo negozio, erano state assunte tante belle ragazze che si facevano guardare veramente. E tante di esse finì che si accasarono con gli studenti sfacinnati.
Davanti la Standa, aveva trovato posto un tale che vendeva cravatte. Non certo di seta inglese, come quelle di Pustorino, ma che erano di bell’effetto.
Le teneva bell’esposte sul suo braccio sinistro, piegato ad angolo retto, e ne vendeva abbastanza da sbarcare il lunario.
Così, quando incontravamo un amico che ostentava una bella cravatta nuova, unitamente ai complimenti, gli dicevamo:
“Bella questa cravatta. Marca Braccio?”
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