Indescrivibile
emozione ci regalasti quel 20 luglio 1969 quando, prima volta per un
uomo, passeggiasti sul suolo lunare, infrangendo millenari tabù. Fin dai
primi vagiti d’Umanità, qualcuno avrà sognato quel che tu, Neil
Armstrong “americano dell’Ohio”, hai realizzato come autentico “Guinnes
dei primati” e che il 25 luglio u.s., all’età di 82 anni appena
compiuti, per un problema cardiocircolatorio ci hai lasciati a
Cincinnati, per la tua nuova destinazione tra le stelle. Fosti,
a ragione, detto il “First man”, “il Primo” a calcare il suolo lunare,
il “Cristoforo Colombo” o il “Marco Polo” dell’ Era moderna, affrettando
con il “piccolo passo”, dall’orma riconoscibile e incancellabile sulla
polvere lunare, quello gigantesco dell’Umanità, la quale salutò l’evento
tra quelli più significativi della propria Storia, rinverdendo
entusiasmi per la crescente espansione dell’Universo. Siamo
debitori al tuo non comune coraggio. Avevi, infatti, ponderato il
possibile fallimento dell’ardua impresa, riuscendo a impattare con la
più profonda solitudine che un uomo potesse mai sperimentare su quel
pianeta ostile e inospitale “come spiaggia sporca” e senza vento,
neanche a garantire alla bandiera americana di sventolare a fierezza.
L’hai dovuta issare in metallo a orgoglio della tua Nazione e
dell’intera Umanità. Dei colori di quel simbolo, quella notte, andammo
tutti fieri e per un giorno il mondo ci parve felicemente segnato “a
strisce e stelle”. Vedere
la scaletta del lem toccare la Luna e il tuo piede trepidante tastarne
la consistenza del suolo, non fu piccola emozione per “il fatidico”
passo. Grazie, Neil! Non
so quanta consapevolezza la tua professionalità di scienziato ti abbia
fatto comprendere il grande balzo e i tabù abbattuti con un sol gesto
“dissacratore”. Hai infatti tracciato il solco epocale tra “il prima” e
“il dopo” allunaggio. Tra la Luna “visionaria e religiosa” dei primordi
dell’Uomo, assurta a simbolo inviolabile e, nelle epoche meno remote,
anche a ispiratrice silenziosa e complice di poeti e amanti, e l’altra
Luna, quella “scientifica” dei Copernico, Keplero, Newton e Galileo,
fino alle estreme e vivaci intuizioni di Einstein. Dinanzi a tanta
grandezza e trionfo, tuttavia, con la tua conquista, abbiamo preso più
coscienza della nostra piccolezza dinanzi all’immensità siderale, dove
il tuo “passo” ci sembrò infinitesimale, anche se soddisfacente a
rappresentare il primo dell’Umanità. Dal
canto tuo, ci hai raccontato la Terra, da postazione insolita e
privilegiata e in prospettiva capovolta rispetto a quella cui eravamo
abituati noi a fotografare, a sera, la Luna, icona dell’anima
rasserenata o in angoscia. Abbiamo
registrato nel cuore il tuo nostalgico canto alla Terra. “Un’oasi”
l’hai declamata o “Isola blu”, ammonendoci severamente che “la cosa più
importante è che si tratta dell’unica isola che sappiamo vivibile per
l’uomo”. E, con il fervore del profeta, ci hai avvisati: “non si tratta
di proteggerla da qualche invadente aggressore, ma dalla sua stessa
popolazione”. Grazie
per lo stile a te congeniale, schivo ed essenziale, con cui ci hai
implorato di amare la Terra, pianeta precario come il lem, che, da te
governato, ti portò lontano e, non senza tuo merito, a soddisfazione ti
riportò tra gli umani.