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17 ottobre 2013

LAMPEDUSA CROCEVIA DI DOLORE E DI SPERANZA

di Fra' Domenico Spatola



Barconi alla deriva, carichi di migranti disperati e fiduciosi. Le terre lasciate non assicurano avvenire ai figli. Bisogna tentare l’avventura. Costosa, per poveri che raggranellano a fatica gli euro o i dollari necessari, vendendo o forse svendendo tutto ciò che hanno, per assicurarsi un biglietto di sola andata, in cerca dell’ “Eldorado”.
Un sogno per sopravvivere e che spesso si trasforma in incubo. Scafisti, senza scrupoli e sempre pronti ad assecondare tali viaggi della speranza e dei quali gli stessi non nutrono fiducia. Sanno bene infatti che i Paesi rivieraschi dell’approdo si sono dotati di sofisticati mezzi di respingimento, eppure, opportunisti, vogliono approfittare per fare quattrini, e più numerosi saranno i passeggeri imbarcati, maggiore sarà il guadagno. I porti dell’avvio sono diversi, anche sein Libia, priva del suo dittatore, ne è stato individuato uno molto trafficato.
«Quando c’era Gheddafi - e qui il racconto di qualcuno dei nostri si fa nostalgico - ci pensava lui a trattenerli, o a farli sparire nel deserto, appena le solerti nostre corvette di sorveglianza glieli consegnavano. Ora è l’anarchia!».
Il lamento “indecente”, a contagio, si fa corale, e soprattutto in quelle Nazioni, occidentali e civili, che si mostrano più restie a condividere con «gli straccioni affamati, che vengono a togliere pane e lavoro!» le proprie risorse, che per troppa avidità ritengono sempre insufficienti.
Lampedusa, geograficamente prossima all’Africa, è la prima terra d’avvistamento e d’approdo, dal momento che il governo dell’isola di Malta, per latitudine ancora più vicina a quel Continente, si è a sufficienza attivato per proteggersi, respingendo questi derelitti o semplicemente ignorandoli in mare.
Il racconto della “imbarcazione gremita allo stremo e sovraccarica di oltre cinquecento persone e che, dopo due giorni di impervia navigazione, è colata a picco nella notte tra l’uno e il due ottobre”, ha fatto il giro del mondo, impressionando per la sequenza drammatica. Fermatosi, per avaria al motore, a poche miglia da Lampedusa, lo scafista - stando al racconto dei sopravvissuti- pare che abbia incautamente dato fuoco ad una coperta per attenzionare le navi o i pescherecci di passaggio. In breve il fuoco ha avuto ragione dell’intera imbarcazione, che tragicamente affondava trascinando gli oltre trecento naufraghi, assiepati nella stiva.
La notizia ha suscitato i più diversificati commenti, che vanno dalla pietà alla rabbia. Né sono mancate anche espressioni di disumana soddisfazione da parte di coloro che invocavano, senza pietà, il “respingimento ad oltranza” e un “più efficiente pattugliamento delle nostre coste”.
A caldo, alcuni superstiti raccontarono che qualche peschereccio in zona, vicino al relitto in avaria, preferì ignorarlo, portando successivamente, a propria discolpa, le conseguenze minacciate dalla “Legge Bossi/Fini”, che prevede l’arresto di quanti prestano soccorso a quella tipologia di naufraghi e il sequestro della barca. La notizia se fosse vera, sarebbe sicuramente inquietante.
Ci auspichiamo che quanto è accaduto possa ingenerare qualche crisi di coscienza soprattutto nei nostri legislatori, inducendoli a rivedere quella legge voluta e approvata dal Parlamento italiano, in fretta e furia e per puri calcoli elettoralistici e di parte. Papa Francesco ha voluto consacrare a Lampedusa il suo primo viaggio extra-moenia dal Vaticano, dichiarando l’isola “terra di missione e di accoglienza”. Qualche politico, nell’emotività dell’evento, ha proposto di candidare gli Isolani e la loro Isola al “premio Nobel per la pace”. La notizia non può che trovarci d’accordo, perché sarebbe il meritato riconoscimento di quanti anche nell’anonimato hanno compiuto, non senza disagio, gesti eroici di grande umanità a favore dei tanti sventurati. Auspichiamo tuttavia che il proponente ufficiale, il quale - a suo tempo - contribuì alla approvazione della legge in questione, si attivi per cambiarla in senso più umanitario.
Il Papa parlò dell’ospitalità come di un valore fondamentale per dirsi cristiani, citando, a garanzia, il detto del Cristo, quando verrà celebrato il giudizio della Storia: «Ero forestiero e mi avete ospitato». L’accoglienza del forestiero è stata da sempre anche presso tutti i Popoli dell’antichità, il valore “sacro e inviolabile”.
Nel mondo globalizzato e delle grandi comunicazioni, gli spostamenti sono facilitati e imposti dalla vita e dal commercio, perché nel proprio inconscio ciascuno ormai si sente “cittadino del Mondo”. Anche i più sfortunati della Terra hanno diritto a scegliersi quell’avvenire dignitoso, che le terre di origine non assicurano, perché in guerra perenne e rette da governi tirannici liberticidi e senza prospettive di benessere per la propria gente. Chi fugge da lì non lo fa per turismo ma per drammatica necessità.
Nessuno, di conseguenza, sfugga alla domanda, tentata di rimozione psicologica o scaramantica: «Se fossi io a loro posto, come vorrei essere trattato?”
Martellante e chiarificatore, a proposito, mi risuona, a risposta, il detto evangelico: «Fai agli altri quello che vorresti che fosse fatto a te!» (Matteo 7,12)

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