BACIAMO LE MANI
di Andrea Basso Sr.
-“Ma che è stu tu?”- dissi a mio nipote l’altro giorno
- “Tu mi devi chiamare di Vossia, come facevo io con mio nonno. “
-“Vossabenerica,
nonno”- gli dicevo quando andavo a trovarlo. Che, tradotto per gli stranieri,
significa “ Vostra Signoria mi benedica”. E lui, sprofondato nel suo divano,
con l’inseparabile mezzo toscano nella mano sinistra, che spesso gli si era già
spento, ma non gli importava più di tanto, mi guardava con i suoi stupendi occhi azzurri e, alzando
un po’
la mano destra, mi diceva:
-” U
Signuri ti binirici” - E quindi mi abbassavo e lo baciavo. Mi gli sedevo
accanto e conversavamo affabilmente, per
un po’, del più e del meno. Io lo ascoltavo
con piacere, perché era un pozzo di notizie e di consigli di vita, come
tutti gli anziani, che praticamente sono delle biblioteche itineranti.
Naturalmente,
mio nipote si mise a ridere. Ma allora si usava così.
E come
avrei potuto dargli del tu, se tutti i suoi figli, generi, nuore e nipoti gli
davano del Vossia? E naturalmente lo
stesso discorso valeva per mia nonna.
Quando
si ricevevano persone, nel salotto buono,
e quindi non si era nell’intimità familiare, allora
si parlava la lingua straniera , e cambiava la lingua, ma non la
sostanza.
- “Papà,
Lei lo gradisce il caffè? Con poco
zucchero e qualche biscotto, come Lo
prende di solito?” - diceva una delle figlie che si era presa l’incombenza
di distribuire il rinfresco che una inserviente aveva già disposto sul tavolinetto del
salotto.
Il
vassoio, canonicamente, comprendeva: la caffettiera, le tazzine con i relativi
cucchiaini d’argento, la zuccheriera ed
un piattino dove, su un centrino ricamato, si potevano ammirare degli invitanti biscotti “algerini” , di cui, in casa, ce
n’era sempre una buona riserva. Sempre sullo stesso vassoio, trovava pure posto
un congruo numero di tovagliolini, anch’essi finemente ricamati, nella
considerazione che quelli squallidi di carta, oggi purtroppo in uso, non l’avevano per fortuna ancora inventati.
Su
un altro vassoio, a parte,
si poteva ammirare una rosoliera, corredata da un certo numero di tipici
bicchierini, e contenente rosolio fatto
in casa, all’essenza di caffè, o di limone, o di menta. Si poteva scegliere
liberamente, in quanto di rosolio, ne
esisteva sempre una buona scorta. E questo nel caso in cui qualcuno non gradisse la tazzina di caffè. Anche se
accettare una cosa non escludeva la facoltà di prenderne pure un’altra.
Nella
stagione estiva, invece, in queste occasioni, si offriva un frappè di caffè, o
un’amarena ben ghiacciata. Ovviamente, il ghiaccio si comprava da un tizio, che
passava con un carrettino, e ne portava mezzo
blocco, avvolto in una vecchia coperta, perché non si sciogliesse
rapidamente. Lo rompeva con un apposito punteruolo metallico, lo pesava e lo metteva nel panaru che gli
avevi calato dal balcone, ritirandosi i
soldi.
Durante
questi ricevimenti, poi, a grande richiesta, le
mie zie erano solite esibirsi in suonate a quattro mani per pianoforte,
accompagnate dal canto di una terza sorella che aveva una bella voce di
mezzosoprano.
Ed, alla
fine, si ricevevano nutriti applausi e richieste di bis, che volentieri
concedevano.
Certo,
oggi sono cose sorpassate dall’evoluzione dei tempi, che però, in certi casi, mi sembra proprio si possa parlare di
involuzione.
Il
Vossia non si usa più. Che d’altra parte non lo usammo neanche noi con i nostri
genitori. E le mani non si baciano più a nessuno. E nemmeno ai sacerdoti, con i quali, in cambio, puoi scambiare un abbraccio ed un paio di
baci, come si usa dalle nostre parti, in segno di stima e di amicizia.
E quegl’
intimi e gustosi ricevimenti familiari sono stati sostituiti da una iuta in
pizzeria, che ti fa fare certamente meno
traffico, ma spesso risulta di uno squallore colossale.
Ma
questa è la zita.
Ti
piaccia o no.
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