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11 febbraio 2014

Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - Sanremo 1972: prima serata

di Dario Cordovana



Per il secondo anno di seguito tocca a Donatello aprire la prima serata di Sanremo. L’ex-chitarrista del gruppo di Gianni Morandi si presenta con l’indovinata “Ti voglio”, un pezzo dalla componente ritmica accentuata, ma fondamentalmente acustico. In una prima serata agguerritissima conquistare la finale senza problemi è già un ottimo traguardo di cui andare fieri. Dopo di lui c’è Pino Donaggio, un habitué di Sanremo, ma al suo ultimo Festival. La sua “Ci sono giorni” non è una brutta canzone, Donaggio non scrive mai brutte canzoni, ma risulta parecchio anonima e priva di una frase melodica trascinante nel ritornello. La strofa che spesso si ferma e poi riprende non aiuta, il pubblico non capisce e lo piazza al penultimo posto. Poi c’è Anna Identici, assolutamente irriconoscibile non tanto nell’aspetto quanto nel repertorio: questa era una che nei due anni precedenti aveva presentato in coppia con Antoine, due pezzi allegri e inoffensivi come “Taxi” e “Il dirigibile”. La sua nuova canzone, “Era bello il mio ragazzo”, parla invece addirittura del problema dei morti sul lavoro! Davvero coraggiosa la Anna, che manca la finale di poco (è la prima degli esclusi). Questo brano non sarà per lei un episodio isolato, ad esso seguiranno pezzi di ispirazione folk tra cui quelli che vanno a ripescare il canto delle mondine.
Dopo questa prima terna ovviamente non ci sono più le seconde esecuzioni, c’è l’orchestra del maestro Franck Pourcel che si incarica di riproporre i ritornelli dei pezzi ascoltati. Poi entra in scena Delia (Gualtiero), la prima debuttante, che propone un pezzo di Ciro Dammicco (che poi troverà il successo alla guida dei Daniel Sentacruz Ensemble) molto interessante, “Per amore ricomincerei”, un po’ sullo stile di Patty Pravo, che lei interpreta molto bene, tanto da convincere il pubblico…a relegarla all’ultimo posto! Bah. Meno male che arrivano i Delirium di Fossati e Prudente, autori di “Jesahel”. Ivo Fossati (che la presentatrice Sylva Koscina chiama per tutto il festival “Fossato”!!!) canta e suona il flauto, mentre Oscar Prudente è riconoscibile nella variopinta congrega di gente che accompagna i musicisti sul palco dando una mano a battere le mani a tempo e intonare il coro. Forse l’esibizione in stile hippy in pieno 1972 è fuori tempo massimo, ma il pezzo è trascinante e strappa l’ultimo posto utile per la finale.
Sono in effetti tanti i pezzi da ricordare di questa prima serata. Domenico Modugno cerca consensi con “Un calcio alla città”, un inno a passo di marcia alla ribellione contro la routine del lavoro quotidiano. Lui la canta con piglio da “con-questa-vinco…se-non-vinco-con-questa…”, si toglie la giacca, la cravatta, spinge il pubblico a cantare con lui e nel mentre urla “Libertà! Libertà!”… uno spettacolo, insomma. E’ finale.
A Modugno segue un esordiente a Sanremo, ma non certo un cantante di primo pelo. Tony Cucchiara infatti sfrutta la nuova popolarità datagli dal disco per l’estate 1971 (“Vola cuore mio”) per presentare la sua “Preghiera”, una canzone contro la guerra semplicemente per motivi cristiani. Il brano non è male, ma la concorrenza è notevole, i posti buoni sono solo sette e “Preghiera” non ce la fa. Nessun problema invece per Nada, già vincitrice lo scorso anno che si ripresenta con “Re di denari”: “Non voglio un re di denari/io cerco un fante di cuori …”, versi banali al servizio di una melodia ancora più banale ma che più sanremese di così non si può. Brutto scivolone qualitativo per Nada, che è ancora molto giovane (18 anni!) e avrà modo di rifarsi e capire che non è questo il repertorio che fa per lei.
Dopo di lei un’altra esordiente: Marcella (non ancora Bella) cerca finalmente di emergere dopo qualche anno di gavetta con un pezzo scritto da Bigazzi e da suo fratello Gianni Bella. Il titolo è “Montagne verdi” ed è quello che si chiama un “instant classic”. Marcella ha anche il look giusto, tante ragazze copieranno la sua capigliatura a cespuglio. Sarà l’unica delle cinque ragazze esordienti ad arrivare in finale. A seguire un altro classico, “Piazza grande” di Lucio Dalla. Forse meno immediato del predecessore “4 marzo 1943”, ma sullo stesso stile. Le atmosfere ricordano il fado caro ad Amalia Rodriguez, ma guai a dirlo a Dalla. In ogni caso un altro “instant classic” e un altro posto in finale prenotato.
Come Tony Cucchiara anche Peppino Gagliardi è reduce da un successo ancora più grande al disco per l’estate. Anzi nel suo caso si parla di due secondi posti consecutivi. Adesso Peppino ci prova a Sanremo con “Come le viole”, pezzo ben costruito melodicamente nel suo genere e arrangiato da Bill Conti (futuro autore delle musiche di “Rocky”) che si presenta addirittura al Festival per dirigere l’orchestra. E’ l’ultimo pezzo in ordine di esecuzione a raggiungere la finale.
Poca gloria infatti per i tre pezzi conclusivi: una Carla Bissi (che dopo qualche anno sarà più nota come Alice) un po’ emozionata fa quel che può con “Il mio cuore se ne va” di Memo Remigi, pezzo ben costruito, ma per nulla innovativo. Roberto Carlos, uno dei due soli stranieri ad avere avuto il pass per il festival, si comporta bene con “Un gatto nel blu”, che magari avrebbe avuto miglior sorte se fosse stata inclusa nella seconda serata, certamente più debole. Infine i Nuovi Angeli propongono “Un viaggio in Inghilterra”, nel loro stile scanzonato, ma pur non essendo male, non funziona. E dire che la commissione selezionatrice aveva scartato la loro prima scelta, “Singapore”. Ma forse è meglio che sia andata così. Per loro era forse più adatta una manifestazione scanzonata come il disco per l’estate piuttosto che il serioso Sanremo …

JESAHEL
(Delirium)


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