Storia semiseria e disordinata della canzone italiana - Celentano e i mali del secolo
di Dario Cordovana
Dopo due Sanremo consecutivi Adriano Celentano si defila, ma non per questo si può dire che nel 1972 sia rimasto a guardare! Anzi, per prima cosa torna in TV, ospite di “Teatro 10” con Alberto Lupo e Mina, dei quali fa la parodia della celebre “Parole parole”. Ma non solo, Adriano è anche protagonista di un nuovo programma in due puntate intitolato “C’è Celentano”. Registrato a colori, ma trasmesso in bianco e nero dato che la TV a colori in Italia ancora nel 1972 è solo una speranza, il programma, oltre a dare spazio ad artisti in qualche modo vicini al titolare (ad esempio Claudia Mori che presenta una bella canzone dal titolo “Il sognatore” che però non le porterà fortuna), serve per presentare il nuovo album di Celentano, “I mali del secolo”. Non è la prima volta che Adriano si occupa di questioni legati al sociale, vedi l’esempio famoso de “Il ragazzo della via Gluck”, per non parlare di “Mondo in mi settima” che già denuncia insoddisfazione nei confronti del mondo (in quel periodo Celentano e da par suo anche Don Backy entrano anche in polemica con i cosiddetti capelloni, mostrando un approccio non proprio all’avanguardia nei confronti dei giovani). “I mali del secolo”, a suo modo, è un album molto importante per capire il personaggio. Imbevuto di cristianesimo, un cristianesimo molto alla buona, più vicino ai parroci di campagna piuttosto che ai grandi teologi, in fondo l’album vive di un contrasto tra testi quasi reazionari (se volete il quasi posso anche toglierlo…) e una musica che pur partendo dal rock’n’roll di “Ready Teddy”, presa dal repertorio di Little Richard e messa in apertura per testimoniare gli inizi di Adriano, per dirla con un linguaggio a lui familiare, è molto spesso “rock”. Un rock, bisogna dire, al passo coi tempi, e mai meno che interessante. Molto del merito va al solito Detto Mariano, sublime arrangiatore (anche con Don Backy e il primo Lucio Battisti), che lascia solo due pezzi al pur bravo, ma più tradizionale Natale Massara (sto tralasciando “Ready Teddy” in quanto solo un’introduzione). Il pezzo trainante dell’album è “Un albero di trenta piani” che torna sul tema “abbasso la città, viva la campagna”. L’albero in questione è il grattacielo Pirelli di Milano, appunto di trenta piani. “Forse era meglio di lei”, musicalmente un recitativo, è quasi la preghiera di un uomo che invoca il creatore di dargli la forza di non tradire la moglie di cui non è più innamorato, per non rompere il sacro vincolo del matrimonio. “La ballata di Pinocchio”, con un insopportabile dialogo tra Adriano che fa lo scemo e dei bambini che gli vanno appresso, parla di come il burattino diventato uomo si senta più libero, ma in realtà diventi presto preda dei vizi. “Disse” è invece una vera e propria predica, Celentano enumera le cose dette da Gesù Cristo “quel giorno sul monte”: “Mio Padre è il Padrone di tutte le cose. E’ inutile che voi vi affanniate a volere comprare con l’oro la gioia e voler diventare i primi del mondo… “, e via così fino alla fine. La musica è dylaniana e incalzante. Ma è già tempo di passare ad un altro dei mali del secolo, la droga. Celentano se ne occupa alla sua maniera con “La siringhetta”: “Sono le quattro e ho bisogno di un po’ di droga/presto mia cara corri a prendere la siringhetta…” e poi ancora: “Mia cara aiutami a spingere la siringhetta dentro la venetta”… se il problema non fosse serio ci sarebbe quasi da sbellicarsi dalle risate con un linguaggio del genere. E mentre il rock acido del brano fa il suo corso, lo sfigato della storia e la sua compagna si buttano dal sesto piano, a causa degli effetti della droga, convinti di volare e il brano termina tra i commenti indifferenti e quasi beffardi dei passanti. Se il brano appena ascoltato non è sembrato poi così tetro, a tutto questo rimedia “L’ultimo degli uccelli”. Un uccellino convince un cacciatore a non sparargli perché lui è l’ultimo della sua specie e morendo gli insetti renderebbero agli uomini la vita impossibile. Quando lui abbassa l’arma poi il volatile gli dice che quand’anche lui trovasse una compagna risparmiata dalla strage degli uomini non si riprodurrebbe con lei, perché l’uccellino sa che il cacciatore lo ha risparmiato soltanto perché ha paura di morire. Questa è la vendetta dell’uccellino. Ma allora non c’è speranza per il mondo? Alla fine Celentano tira fuori “Quel signore del piano di sopra” che ovviamente sappiamo tutti chi è, brano molto coinvolgente, da cantare tutti insieme e persino in due lingue. Questa è infatti la prima comparsa della lingua celentana, che poi Adriano riprenderà in “Prisencolinensinainciusol”: una lingua che sembra inglese, ma l’inglese orecchiato da uno che non lo conosce, per come lo sente. La seconda parte è invece in lingua italiana, con l’ennesima predica, ma stavolta più gioiosa, per fare proseliti. Come vedete, ben prima di Fantastico, il Celentano-pensiero è già tutto qui…
UN ALBERO DI TRENTA PIANI (Adriano Celentano)
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