A SCUOLA DI ROCK 24 - SMALL FACES
di Dario Cordovana
In Inghilterra negli anni sessanta si viveva una
meravigliosa stagione musicale piena di entusiasmo. Il successo dei Beatles e
dei Rolling Stones rendeva attraente tentare la strada della musica rock,
sapendo che c’erano tante case discografiche che erano disposte a darti
fiducia, sperando di trovare la nuova gallina dalle uova d’oro.
Una di queste case era la Decca, casa dei Rolling Stones, ma
che non si era mai perdonato di essersi lasciata scappare i Beatles, che il giorno
di capodanno del 1962 avevano registrato per loro un provino, ma erano stati
messi alla porta. Tra i gruppi messi sotto contratto dalla Decca erano gli
Small Faces, quattro ragazzi appassionati di rhythm and blues, il cui punto di
forza era sicuramente la voce carismatica e aggressiva di Steve Marriott.
Questi era anche un buon autore, il suo partner essendo il bassista Ronnie
Lane. A completare le fila il batterista Kenny Jones e l’organista Jimmy
Winston, sostituito dopo pochi mesi e due singoli da Ian MacLagan.
Il grande successo arriva già nel 1966 con
“Sha-La-La-La-Lee”, al numero 3 delle classifiche britanniche, ma in seguito
quasi rinnegato dal gruppo, in quanto poco rappresentativo. Lo stile degli
Small Faces è assimilato al movimento mod che già aveva per paladini gli Who.
Marriott e Lane dimostrano in effetti di saper fare molto
meglio e “All Or Nothing”, che diventerà il loro brano più rappresentativo,
raggiunge il numero uno delle classifiche senza tradire minimamente il loro
stile aggressivo. Il successo viene sfruttato con un primo album, ancora un po’
acerbo, ma efficace per capire chi erano gli Small Faces in quel periodo e cosa
facevano.
A quel punto si innescano delle frizioni con la casa
discografica e i quattro decidono di seguire Andrew Loog Oldham, produttore dei
Rolling Stones, che ha appena fondato una nuova casa discografica, la
Immediate. Questo crea un po’ di confusione nella loro discografia, perché
quasi contemporaneamente escono il secondo album pubblicato dalla Decca (“From
The Beginning”), e il primo per la Immediate (“Small Faces”, come il primo
album per la Decca).
Con la nuova casa discografica gli Small Face sotterrano
qualche nuovo successo (“Here Come The Nice”, la vagamente psichedelica
“Itchycoo Park”, “Tin Soldier”, tutti del 1967), poi nel 1968 daranno alle
stampe il loro capolavoro, “Ogdens’ Nut Gone Flake”, particolare già dalla
confezione che sembra una grande scatola tonda di mentine. L’album andrà al
numero uno delle classifiche britanniche, ma come molti esempi della loro
produzione verrà pressoché ignorato in America.
Poi a fine anno gli Small Faces iniziano a programmare il
loro lavoro. Dapprima prendono tempo pubblicando il 45 giri “The Universal”,
poi entrano in disaccordo sulla nuova strada da intraprendere. Steve Marriott
vorrebbe inserire nel gruppo il chitarrista degli Herd, Peter Frampton, gli
altri si oppongono. A Capodanno Marriott li pianta definitivamente durante un
concerto, ma all’inizio non c’è niente di ufficiale sul futuro del gruppo.
Qualche mese dopo lo scioglimento viene sancito dalla nascita degli Humble Pie,
il nuovo gruppo che Marriott ha fondato con Frampton (e chi altri se no?). Alle
facce rimanenti non resterà che togliere lo Small dalla ragione sociale e far
nascere i Faces con Ron Wood e Rod Stewart alla voce.
Sembra finita qui, ma nel 1977, in piena esplosione punk si
risente parlare degli Small Faces. Gli Humble Pie e i Faces non esistono ormai
più (Ron Wood è entrato in pianta stabile nei Rolling Stones e Rod Stewart e
Peter Frampton sono alle prese con una fruttuosa carriera solista), ma i
quattro Small Faces originali si ritrovano a provare per un concerto insieme,
durante il quale presentare i brani di “Ogdens’ Nut Gone Flake”, ormai
diventato un classico.
Paradossalmente le cose vanno così bene alle prove che viene
proposto di rendere la reunion duratura. A quel punto Ronnie Lane si chiama
fuori con una celebre frase (“Belle le rimpatriate scolastiche con i vecchi
compagni, a patto che tu non debba tornare a frequentare le classi”) e gli
altri tre, reclutato il bassista Rick Wills, decidono di proseguire ugualmente.
Ne verranno fuori due album (“Playmates”, “78 In The
Shade”), di non eccelsa qualità (verranno massacrati dalla stampa) e di nessun
successo. Siamo in epoca punk e la musica degli Small Faces sembra proprio di
un’altra epoca. Dopo poco più di un anno arriva lo scioglimento definitivo.
Steve Marriott, dopo qualche album mediocre e insidiato dal consumo di alcool,
perirà tragicamente nel 1991 nell’incendio della sua casa, provocato da una sua
stessa sigaretta rimasta accesa dopo che lui si era addormentato. Ronnie Lane,
ammalatosi nei tardi anni settanta di sclerosi multipla, morirà infine nel
1997. Kenny Jones diventerà per un po’ il batterista degli Who, dopo la scomparsa
di Keith Moon. Ian MacLagan suonerà di tanto in tanto e diventerà membro dei
Blokes, gruppo accompagnatore di Billy Bragg. Sarà anche lui a curare le più
serie antologie degli Small Faces e dei Faces…
2 album da avere:
Ogdens’ Nut Gone Flake, The Autumn Stone (semi-antologico).
1 album da evitare: 78 In The Shade.
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