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1 ottobre 2015

A SCUOLA DI ROCK 24 - SMALL FACES

di Dario Cordovana



In Inghilterra negli anni sessanta si viveva una meravigliosa stagione musicale piena di entusiasmo. Il successo dei Beatles e dei Rolling Stones rendeva attraente tentare la strada della musica rock, sapendo che c’erano tante case discografiche che erano disposte a darti fiducia, sperando di trovare la nuova gallina dalle uova d’oro.

Una di queste case era la Decca, casa dei Rolling Stones, ma che non si era mai perdonato di essersi lasciata scappare i Beatles, che il giorno di capodanno del 1962 avevano registrato per loro un provino, ma erano stati messi alla porta. Tra i gruppi messi sotto contratto dalla Decca erano gli Small Faces, quattro ragazzi appassionati di rhythm and blues, il cui punto di forza era sicuramente la voce carismatica e aggressiva di Steve Marriott. Questi era anche un buon autore, il suo partner essendo il bassista Ronnie Lane. A completare le fila il batterista Kenny Jones e l’organista Jimmy Winston, sostituito dopo pochi mesi e due singoli da Ian MacLagan.

Il grande successo arriva già nel 1966 con “Sha-La-La-La-Lee”, al numero 3 delle classifiche britanniche, ma in seguito quasi rinnegato dal gruppo, in quanto poco rappresentativo. Lo stile degli Small Faces è assimilato al movimento mod che già aveva per paladini gli Who.

Marriott e Lane dimostrano in effetti di saper fare molto meglio e “All Or Nothing”, che diventerà il loro brano più rappresentativo, raggiunge il numero uno delle classifiche senza tradire minimamente il loro stile aggressivo. Il successo viene sfruttato con un primo album, ancora un po’ acerbo, ma efficace per capire chi erano gli Small Faces in quel periodo e cosa facevano.

A quel punto si innescano delle frizioni con la casa discografica e i quattro decidono di seguire Andrew Loog Oldham, produttore dei Rolling Stones, che ha appena fondato una nuova casa discografica, la Immediate. Questo crea un po’ di confusione nella loro discografia, perché quasi contemporaneamente escono il secondo album pubblicato dalla Decca (“From The Beginning”), e il primo per la Immediate (“Small Faces”, come il primo album per la Decca).

Con la nuova casa discografica gli Small Face sotterrano qualche nuovo successo (“Here Come The Nice”, la vagamente psichedelica “Itchycoo Park”, “Tin Soldier”, tutti del 1967), poi nel 1968 daranno alle stampe il loro capolavoro, “Ogdens’ Nut Gone Flake”, particolare già dalla confezione che sembra una grande scatola tonda di mentine. L’album andrà al numero uno delle classifiche britanniche, ma come molti esempi della loro produzione verrà pressoché ignorato in America.

Poi a fine anno gli Small Faces iniziano a programmare il loro lavoro. Dapprima prendono tempo pubblicando il 45 giri “The Universal”, poi entrano in disaccordo sulla nuova strada da intraprendere. Steve Marriott vorrebbe inserire nel gruppo il chitarrista degli Herd, Peter Frampton, gli altri si oppongono. A Capodanno Marriott li pianta definitivamente durante un concerto, ma all’inizio non c’è niente di ufficiale sul futuro del gruppo. Qualche mese dopo lo scioglimento viene sancito dalla nascita degli Humble Pie, il nuovo gruppo che Marriott ha fondato con Frampton (e chi altri se no?). Alle facce rimanenti non resterà che togliere lo Small dalla ragione sociale e far nascere i Faces con Ron Wood e Rod Stewart alla voce.

Sembra finita qui, ma nel 1977, in piena esplosione punk si risente parlare degli Small Faces. Gli Humble Pie e i Faces non esistono ormai più (Ron Wood è entrato in pianta stabile nei Rolling Stones e Rod Stewart e Peter Frampton sono alle prese con una fruttuosa carriera solista), ma i quattro Small Faces originali si ritrovano a provare per un concerto insieme, durante il quale presentare i brani di “Ogdens’ Nut Gone Flake”, ormai diventato un classico.

Paradossalmente le cose vanno così bene alle prove che viene proposto di rendere la reunion duratura. A quel punto Ronnie Lane si chiama fuori con una celebre frase (“Belle le rimpatriate scolastiche con i vecchi compagni, a patto che tu non debba tornare a frequentare le classi”) e gli altri tre, reclutato il bassista Rick Wills, decidono di proseguire ugualmente.

Ne verranno fuori due album (“Playmates”, “78 In The Shade”), di non eccelsa qualità (verranno massacrati dalla stampa) e di nessun successo. Siamo in epoca punk e la musica degli Small Faces sembra proprio di un’altra epoca. Dopo poco più di un anno arriva lo scioglimento definitivo. Steve Marriott, dopo qualche album mediocre e insidiato dal consumo di alcool, perirà tragicamente nel 1991 nell’incendio della sua casa, provocato da una sua stessa sigaretta rimasta accesa dopo che lui si era addormentato. Ronnie Lane, ammalatosi nei tardi anni settanta di sclerosi multipla, morirà infine nel 1997. Kenny Jones diventerà per un po’ il batterista degli Who, dopo la scomparsa di Keith Moon. Ian MacLagan suonerà di tanto in tanto e diventerà membro dei Blokes, gruppo accompagnatore di Billy Bragg. Sarà anche lui a curare le più serie antologie degli Small Faces e dei Faces…

 

2  album da avere: Ogdens’ Nut Gone Flake, The Autumn Stone (semi-antologico).

 

1 album da evitare: 78 In The Shade.

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