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22 dicembre 2016

L’importanza del testo - (puntata n. 129)

di Dario Cordovana



Naturalmente era impensabile che la decisione della Rai di trasmettere solo l’ultima serata del Festival di Sanremo non avesse conseguenze sulle vendite. Il Sanremo 1972 aveva provocato delle scosse telluriche sulle classifiche dei singoli e solo un paio di motivi in classifica si erano salvati allo sbarco delle canzoni della riviera ligure. Un anno dopo la situazione è ben diversa. I due brani che riescono ad entrare in classifica sono quelli cantati dai primi due classificati (Peppino Di Capri e Peppino Gagliardi), come se la gente si fosse fidata del risultato finale per comprare la novità del momento. Gli altri avranno bisogno di un aiuto da parte della radio, che spingerà in classifica anche i pezzi di Gilda Giuliani e soprattutto, i più resistenti, quello di Wess e Dori Ghezzi e “Come sei bella” dei Camaleonti, che resteranno in classifica fino a fine giugno. A dar loro il cambio saranno i dischi per l’estate, tra cui, per i Camaleonti, la fortunatissima “Perché ti amo” prenderà il posto del brano di Sanremo.
Poca cosa comunque. Nessuno dei brani summenzionati arriverà al primo posto in classifica (Peppino Di Capri al numero due, gli altri si terranno a debita distanza dalle prime tre posizioni); Sanremo sta perdendo il suo appeal e in classifica, accanto ai soliti grossi calibri (ad esempio Celentano, col brano ritirato a Sanremo, “L’unica chance”), ci vanno gli stranieri. La primavera del 1973 vede la presenza di Elton John, Don McLean, Carly Simon, Dr.Hook & The Medicine Show, Artie Kaplan, Lobo, che fanno la parte del leone e lasciano agli italiani le briciole.
Uno dei motivi per cui Sanremo non va più è il sempre più evidente scollamento dei partecipanti al Festival, rispetto ai gusti di chi compra i dischi, e cioè in massima parte i giovani. Siamo ormai ben dentro gli anni settanta, quelli che in Italia vengono chiamati “gli anni di piombo”, e i giovani cercano nuovi artisti che li rappresentino. Chi comincia a perdere terreno sono quelli che venivano chiamati “parolieri” (termine che uno dei massimi esponenti della categoria, Mogol, ha sempre disprezzato). Negli anni sessanta a finire in classifica erano spesso degli interpreti che dei parolieri si servivano, nel decennio successivo emerge il fenomeno dei cantautori (politicizzati o meno), che vengono visti con sempre maggiore interesse poiché il fatto che si scrivano loro i testi che cantano sembra garanzia di autenticità. E certo l’adolescente degli anni settanta fatica a sentirsi rappresentato dai vari Pace, Testa, Migliacci, Bardotti che sono chiaramente di età diversa. Preferisce Valerio Negrini dei Pooh che parla di storie d’amore tra giovani con un linguaggio e una sensibilità che i giovani riconoscono come loro. Oppure Baglioni e i suoi “piccoli grandi amori”. Loro saranno i capostipiti, nei loro testi cominciano anche a far capolino i primi riferimenti al sesso che a volte portano alla censura (famoso il caso di “con la paura e la voglia di essere nudi”, corretto in “di essere soli”).
C’è poi tutta una serie di cantautori impegnati che non troveremo che sporadicamente nel mercato dei 45 giri, ma che trova la sua perfetta dimensione in quello in costante ascesa dei 33 giri. Il long-playing (LP) è il formato più adatto per loro, per portare avanti “un certo tipo di discorso”, come si usava dire allora. All’ormai affermato Fabrizio De Andrè, così a suo agio nel lungo formato da aver pubblicato anche un album concept come “La buona novella”, si è ormai affiancato Francesco Guccini, e nel 1973 è impossibile non tener conto di ragazzi più che promettenti come Alan Sorrenti, Antonello Venditti e Francesco De Gregori. C’è anche uno strano riccioluto napoletano che si fa vedere in televisione sempre più spesso, canta canzoni grintose e se le accompagna con la chitarra acustica, l’armonica e il kazoo. Per sbarcare il lunario ha fatto anche lui il paroliere, ma adesso i suoi testi sanno di denuncia nei confronti della società. “Non farti cadere le braccia” è appunto il titolo del primo album di Edoardo Bennato, un album in cui il suo stile non è ancora messo del tutto a fuoco, ma che contiene già canzoni che resteranno famose nel suo repertorio come “Una settimana … un giorno”, “Un giorno credi” e il brano che dà il titolo all’album. Questi personaggi sembrano quasi degli alieni al pubblico della massa, ma i giovani cercano proprio questo: qualcosa di radicalmente diverso che rompa con il passato di canzonette …

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