Storia semiseria e disordinata della canzone italiana da Sanremo in poi - Quinta puntata
di Dario
I big della canzone italiana nei primi anni sessanta erano
loro:Gianni Morandi, Rita Pavone, Adriano Celentano con il suo clan (Ricky
Gianco, Don Backy, Guidone, il nipote Gino Santercole – nipote di Celentano,
non di Guidone) e Mina.
Guardando Celentano, soprattutto il Celentano dell’epoca che
faceva impressione con i suoi movimenti scimmieschi, uno penserebbe di essere
allo zoo: invece – sorpresa! – era per le cantanti che i nomignoli imparentati
con il regno animale si sprecavano. Così, Milva era “la pantera di Goro”, Mina “la
tigre di Cremona”, e poi più tardi Iva Zanicchi era “l’aquila di Ligonchio”,
Nada “il pulcino di Gabbro”, Luciana Turina “la balena di…” ma forse sto
esagerando un po’!
Mina aveva cominciato la carriera per caso (venne invitata
da amici a salire su un palco in maniera del tutto estemporanea) col nome di
Baby Gate.
Allora, più che altro, si cimentava con i classici della
canzone americana recente. Poi, col nome di Mina, venne inserita nel filone
degli “urlatori”; le sue qualità vocali e la sua presenza scenica non potevano
lasciare indifferenti neanche i signori della televisione che cominciarono ad
affidarle importanti trasmissioni quali la neonata “Studio Uno”, dove Mina avrà
occasione di prodursi in avvincenti medley di canzoni famose e di incontrare
tutto il meglio del mondo dello spettacolo dell’epoca, da Totò ad Alberto
Sordi, da Peppino De Filippo a Vittorio Gassman, da Walter Chiari a Marcello
Mastroianni, da….(ma sono veramente troppi quelli che lei chiamava a
partecipare a “Studio Uno”, nel suo angolino denominato “l’uomo per me”).
Innumerevoli i successi anche discografici di questa
cantante che avrebbe potuto sfondare all’estero se solo non fosse stata preda
della sua paura di volare.
Si ricorda una sua tournée in Sud America nel 1966 poi una
sua famosa battuta che diceva più o meno così: “meglio essere la prima in
Italia che una delle tante nel mondo”, faceva capire quanto poco lei si
stimasse (riguardarsi e risentirsi sarà per lei sempre una sofferenza).
Gli spettacoli del sabato sera erano anche il regno di Rita
Pavone, vero emblema della gioventù italiana dell’epoca.
Sempre circondata dai “Collettoni”, ragazzi e ragazze che
stravedevano per lei, facendo intendere che lei era il capo della banda e che
tutte le idee partivano da lei (tra questi anche le future star Loredana Bertè
e Renato Zero), sempre con un nuovo ballo da lanciare, è stata una cantante
molto personale e con uno stile inconfondibile, destinato a dividere pubblico e
critica (c’è chi la adora e chi non la sopporta).
Non bisogna dimenticare che questi cantanti erano serviti da fior di
autori, arrangiatori e direttori d’orchestra che ci hanno lasciato canzoni
indimenticabili: i nomi di Bruno Canfora, Ennio Morricone, Franco Pisano sono i
primi che vengono in mente…poi è arrivato il maestro Pippo Caruso…
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