Sanremo 2018, un festival anti-sbadiglioni
di Dario Cordovana
Cambio di timone al Festival. Dopo tre anni a conduzione Carlo Conti, ricchi di soddisfazioni in termini di ascolti, ma che avevano portato pericolosamente la rassegna ad adagiarsi in un clima di déjà vu musicale perenne, con il 90 per cento dei brani costruiti alla stessa maniera per non rischiare niente, quest’anno la conduzione di Claudio Baglioni ha spiazzato parecchio. Il cantautore romano, alla sua prima esperienza nel ruolo di direttore o “dittatore” artistico, era atteso con curiosità. Intanto perché lui conduttore non lo è mai stato (la sua precedente esperienza, “Anima mia” ormai vecchia di vent’anni, lo vedeva al fianco di Fabio Fazio, titolare a tutti gli effetti di quel programma) e poi perché le sue eventuali novità avrebbero dovuto fare i conti (in minuscolo) con le fortunate edizioni precedenti. Al tirar delle somme i risultati sono stati eccellenti, almeno in termini di ascolti. Baglioni ha cercato di portare avanti il Festival ispirandosi all’antico; il suo riferimento più evidente è sembrato il modello di conduzione di Gianni Morandi, alle cui due annate si è ricollegato per la serata dei duetti che da allora era stata infruttuosamente sostituita da una serata di cover di canzoni italiane, spesso eseguite in modo sciatto e poco meditato. Il Festival è stato inoltre da lui condotto con pacatezza e signorilità. Baglioni ha fatto di tutto: il cantante, il comico, la spalla, con dei tempi invidiabili a molti che il comico lo fanno per professione. Nella conduzione è stato brillantemente affiancato da Michelle Hunziker che ha fatto il “lavoro sporco” di presentare canzoni e regolamento e da Pierfrancesco Favino, anche lui molto versatile. E le canzoni? C’è stata una maggiore varietà nelle proposte musicali e quest’anno i big, come non accadeva da tempo, sono stati tutti ammessi in finale. Le 20 scelte del “dittatore” artistico e della sua commissione selezionatrice sono state anche coraggiose, se si pensa che mancavano dei veri rapper tra i big (ma in fondo molte canzoni prendevano spunto da quel genere) e che anche i fuoriusciti dai vari talent erano in numero minore rispetto alle edizioni precedenti. Sono ritornati invece molti “big”, ma sfortunatamente, avendo molti di questi un’età avanzata, non possono certo essere individuati come il futuro della canzone italiana. Alla fine ha vinto il duo Ermal Meta e Fabrizio Moro, sicuramente favorito dall’attenzione suscitata dalla loro minacciata esclusione per un plagio che in effetti vero plagio non era. Testo molto interessante, ma anche un po’ furbetto, “Non mi avete fatto niente” ha portato la piccola novità di un accompagnamento in stile country su un pezzo di ispirazione rap. Al secondo posto la vera sorpresa del Festival, i ragazzi de Lo Stato Sociale, con ballerina in età-Vanoni al seguito, che hanno mostrato di aver appreso la lezione di Gabbani dello scorso anno su come fare spettacolo. Ieri la scimmia nuda che balla, oggi la vecchia che balla e domani? Chi ballerà domani? Si accettano scommesse. Terza Annalisa con “Il mondo prima di te”, pezzo costruito per essere cantato negli stadi con grande spargimento di accendini e mani in alto che lo seguono ritmicamente. Fuori dal podio Ron con la bella canzone di Lucio Dalla “Almeno pensami”: musica d’altri tempi, nel senso migliore del termine. Piazzamento di prestigio per Ornella Vanoni che ha interpretato con grande classe “Imparare ad amarsi”, ben affiancata dagli autori Bungaro e Pacifico. Max Gazzé è piaciuto tanto con “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno”, ma personalmente l’ho trovato un po’ al di sotto delle aspettative. Forse non era lui l’interprete più adatto per quella canzone. Luca Barbarossa ha invece cercato di rianimare un po’ la sua carriera con “Passame er sale” che in certi momenti ricordava il Toto Cutugno più ispirato. Tra i molti duetti si è segnalato quello tra Diodato e il trombettista Roy Paci. La loro “Adesso” è stata a tratti davvero coinvolgente. I giovani sono stati ben rappresentati dai Kolors, alla loro prima prova in italiano, con un pezzo sullo stile di… Scialpi (se qualcuno se lo ricorda), mentre Renzo Rubino non si è staccato dai suoi canoni interpretativi e compositivi che pescano nel genere tradizional-deludente a piene mani. “Eterno” di Giovanni Caccamo non passerà alla storia come la canzone più bella del Festival (eufemismo), mentre Noemi continua imperterrita a sbagliare canzoni. Peccato perché il talento e soprattutto la riconoscibilità ce li avrebbe. In questo Sanremo c’erano anche tre ex-Pooh: un flop clamoroso il duo Roby Facchinetti e Riccardo Fogli, anche se il secondo pare aver recuperato la voce (saranno stati i concerti con il gruppo madre), un pochino meglio Red Canzian. La riunione dei Decibel sembra aver fatto bene ad Enrico Ruggeri, che da tempo non scriveva un pezzo così ben costruito, mentre Mario Biondi è riuscito a scontentare un po’ tutti: Sanremo non è proprio il luogo ideale per le sue proposte. Detto che da Enzo Avitabile (qui con Peppe Servillo degli Avion Travel) mi sarei aspettato qualcosa più vicino al funky-soul piuttosto che una cosa da canzone popolare napoletana annacquata in stile Gragnaniello, che le Vibrazioni avevano un pezzo adeguato ma nulla più e che Nina Zilli ha reso di più in coppia con Sergio Cammariere nella serata dei duetti (come del resto Noemi e molti altri), resta da dire di Elio e le Storie Tese; ormai al crepuscolo della loro carriera, hanno salutato il pubblico con “Arrivedorci”: brano triste e che non faceva granché ridere, aveva la colpa di essere eccessivamente autoreferenziale. Perché presentarlo a Sanremo dove c’è una gara, una classifica (che alla fine li ha visti ultimi)? Il brano ha cominciato a decollare davvero dalla serata del venerdì, grazie alla partecipazione dei Neri per Caso, che infatti Elio & c. si sono portati sul palco in forma anonima anche nella finale di sabato. Resta comunque l’ultima testimonianza di un gruppo unico nel bene e nel male. Ultima (!) notazione per i giovani: detto che del vincitore dello scorso anno, tal Lele, si sono già perse le tracce, la più interessante ci è sembrata Giulia Casieri, ma non se l’è filata nessuno. In compenso ha vinto Ultimo che si è sgolato all’estremo per proporre “Il ballo delle incertezze”. Chissà se la vittoria gli porterà fortuna…
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