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10 febbraio 2020

Sanremo 2020: sorprese o disorganizzazione?

di Dario Cordovana



Vuoi vedere che alla fine questo “Sanremo giovani” è più importante di quanto non sembri? Sono ormai 4 anni che il vincitore di Sanremo viene da lì. Dopo Francesco Gabbani, Fabrizio Moro ed Ermal Meta, Mahmood, quest’anno è toccato a Diodato sbancare il Festival. E non ho usato sbancare a caso perché la sua canzone “Fai rumore” ha fatto proprio incetta di premi, mettendo d’accordo se non tutti, almeno un bel po’ di persone.

Certo che i “giovani” di quest’anno non è che si siano sforzati troppo per fare intravedere il loro talento. Il vincitore, Leo Gassmann (dove avrò già sentito questo nome?), dapprima emozionatissimo tanto che pensavo potesse svenire in diretta, poi sempre più sciolto, ha una voce interessante messa al servizio della canzone sbagliata. Sbagliata, ma furba quanto bastava per fare giustizia su Tecla (un clone esagerato dell’Arisa più mielosa). Gli altri sono sembrati quasi tutti davvero alquanto acerbi, con una parziale eccezione per Fasma e per gli Eugenio in via di Gioia che sono sembrati anche troppo gasati nell’esecuzione del loro pezzo, ma malgrado questo e un’eliminazione precoce hanno riscosso consensi.

Bene ha fatto comunque Amadeus (al suo primo, e visto il successo di ascolti, credo non ultimo festival), a piazzarli in apertura delle serate, col solo difetto, non da poco, che tra una cosa e l’altra, il primo cantante dei Campioni entrava in scena alle 22.00.

La durata delle serate è stata uno dei punti dolenti di questa edizione: evidentemente Amadeus pensa che gli italiani siano perennemente in vacanza, o si prendano tutti una settimana di ferie e Fiorello non è da meno: apparentemente si lamentava della lunghezza di Amadeus, ma poi in realtà anche lui si dilungava parecchio in siparietti interminabili. Lo spettacolo ha avuto un grande successo, ma è stato il regno del disordine mascherato. La scaletta non ha mai seguito un filo logico ed è sembrato che si facessero entrare in scena troppi ospiti, in un programma già ricco, che avevano poco da offrire (vedi la lunghissima e inutile attesa prima della proclamazione del vincitore). Il tutto appunto mascherato dalla frase chiave di questa edizione “A Sanremo quest’anno può succedere di tutto”.

Molte novità spacciate per tali in realtà erano trovate riciclate. Per la prima volta in settant’anni viene allestito un palco denominato “Nutella stage” per ospitare concerti estemporanei di alcuni degli ospiti o dei cantanti del Festival. Ma in realtà già nel 1987 al Palarock Carlo Massarini presentava gli ospiti stranieri, e allora dov’è la novità?

In realtà la vera sorpresa è stata la squalifica inevitabile di Bugo e Morgan, dopo la clamorosa alterazione del testo di “Sincero” nella serata di venerdì fatta da quest’ultimo risultante in un attacco al collega e nell’abbandono del palco di Bugo. Panico in scena ben contenuto dal flemmatico Amadeus e…the show must go on.

La qualità delle canzoni è sembrata mediamente buona, soprattutto perché ogni pezzo in fondo aveva una sua ragion d’essere. Persino la lambada (così sarebbe stata definita trent’anni fa) di Elettra Lamborghini. Le cose più interessanti però denunciavano influenze insospettabili, fin dal pezzo del vincitore Diodato che richiamava nelle strofe le progressioni armoniche di certi brani dei Pulp, o la vocalità di Elodie che faceva pensare a Bjork, oppure ancora il bravissimo Raphael Gualazzi in versione Kid Creole senza Coconuts, ma con un nutrito gruppo di musicisti aggiunti e mini-ballerini.

Grande ritorno al Festival per due signore della canzone. Rita Pavone si è fortunatamente scelta un pezzo sufficientemente al passo coi tempi e che le dava la possibilità di sfoderare una grinta degna di una ventenne. Rita canta meglio adesso di quando era giovane. Un’altra che come il buon vino invecchiando migliora è Tosca, la più brava interprete del Festival, giudizio confermato anche per la serata delle cover.

Sanremo ha anche confermato che le parti musicali più interessanti spesso alla fine ce le hanno i rapper, che quindi, anche quando non cantano, un po’ di competenza musicale o nello scegliersi i collaboratori ce la devono avere. Né Anastasio, né Rancore hanno fatto eccezione. Junior Cally invece sembrava un epigono di Ugolino (per chi si ricorda la sua “Ma che bella giornata” di fine anni sessanta), naturalmente “mutatis mutandi”.

Reparto parziali delusioni: Achille Lauro ha sorpreso con il suo look, ma “Me ne frego” ha fin troppi punti in comune con la “Rolls Royce” dello scorso anno. Gradevole, ma si sperava in qualcosa di diverso. Paolo Jannacci ha parzialmente sprecato la sua chance al Festival con un motivo non brutto, ma fin troppo sanremese, ma si è riscattato nella serata delle cover ripescando la “Se me lo dicevi prima” di suo padre Enzo, per altro ancora attualissima.

Dopo Diodato e Gabbani al terzo posto sono arrivati i Pinguini Tattici Nucleari, che hanno portato un po’ di Beatles al Festival, anche se solo nel titolo della loro “Ringo Starr”. Pezzo da cantare in torpedone con una parte di basso sopra la media. Un terzo posto a sorpresa, ma non tanto, se li inseriamo nel filone di successo inaugurato dallo Stato Sociale due anni fa. Il loro medley nella serata delle cover però non eccelleva per inventiva e anche l’idea non era del tutto nuova (vedi alla voce “Vincere l’odio” di Elio e le Storie Tese, 2016).

Ultima notazione: senza squilli di trombe e forse involontariamente il Festival ha celebrato i 50 anni dell’edizione 1970: tra cantanti in gara, nei duetti della serata delle cover, e tra gli ospiti si sono rivisti Rita Pavone, Fausto Leali, Ornella Vanoni, Tony Renis, Bobby Solo, i Ricchi e Poveri (nella formazione originale con Marina Occhiena e Franco Gatti!) e persino lo scomparso Little Tony con il quale ha virtualmente duettato Piero Pelù nell’esecuzione di “Cuore matto”. E in più anche Al Bano e Romina Power, appartenenti a quella generazione di cantanti, ma non presenti in quella edizione. E così anche i nostalgici sono stati accontentati. Attendiamo Nicola Di Bari e/o Nada per le celebrazioni dell’anno prossimo.

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