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9 dicembre 2007

Io, che non lo conoscevo bene

di Davide



Io di notte non sogno, o almeno non ricordo mai quello che sogno.
Così a volte mi capita che sogni ad occhi aperti, o almeno, vivo dei momenti di assenza, degli attimi in cui la mia coscienza abbassa la guardia, si lascia penetrare da spiriti e fantasmi che appartengono ai miei pensieri o, magari, che vagano in giro in cerca di questi squarci.
Fu così che qualche mese fa, alla fine dell’estate, forse a causa della fisiologica malinconia che accompagna la fine della bella stagione, che inconsapevolmente e senza un apparente valido motivo sono stato “visitato” da un pensiero improvviso, da un ricordo dimenticato e da tempo non frequentato.
Un viso, una voce, una grande e rumorosa risata
In un istante mi è ritornato in mente che quasi quindici anni fa, nell’agosto del ’93 fui trasferito in un nuovo ufficio, presso l’Assessorato Regionale dove oggi tuttora lavoro. Quella estate un avvenimento tragico e inaspettato aveva caratterizzato la cronaca locale portando scompiglio nella vita e negli equilibri politici siciliani ed italiani. L’uccisione di un noto politico, si disse quale segnale forte per chi non aveva saputo o potuto rispettare certi patti e promesse, coinvolse anche me che lavoravo in un ufficio “speciale” guidato da un personaggio di spicco del partito della vittima, a lui profondamente legato, e poi travolto da un processo di moralizzazione e pulizia.
Venni “moralizzato” anch’io e catapultato di punto in bianco, “per punizione” in un ufficio senza neanche la settimana di preavviso. Due mesi in una stanza condivisa, in pieno periodi di ferie, ovviamente senza ferie, senza lavoro, senza aria condizionata, circondato da poche facce nuove e, a dirla tutta, sinceramente brutte.
Lì conobbi un ragazzo, quasi mio coetaneo, che in quell’ambiente di mostri mi parse una sorta di guida dantesca, che mi permise di conoscere gli antri di quell’inferno (sensazioni che oggi appaiono però quantomeno esasperate dalle circostanze) e, piano, piano, di acclimatarmi.
Si chiamava Giuseppe. Giuseppe Francese.
A me quel cognome non diceva niente, ma invece avrebbe dovuto.
Tutti lì conoscevano la sua storia, o meglio, la storia di suo padre Mario.
Ma io sono sempre stato un po’ superficiale e per me era solamente Giuseppe, un amico con cui parlare, ma soprattutto ridere.
Ecco, quello che ancora mi tormenta quando ci penso, e che con lui non ho mai smesso di ridere e scherzare.
Era un fluire di battute, una continua ricerca del divertimento e del grottesco che caratterizzava la vita d’ufficio. Con lui non ho mai avuto una frequentazione fuori dall’ambiente di lavoro, ma si parlava e si rideva di tutto, e mai, in quasi dieci anni, un accenno alla sua tragedia, alla sua vita fuori di li, al suo impegno quasi missionario, alle sue indagini giornalistiche, pur non essendo un giornalista né pretendendo di esserlo. Qualcosa così, molti sfoghi per “cose d’ufficio”, avvenimenti consueti per chi lavora in un ufficio pubblico dove frustrazione ed impotenza sono le sensazioni che caratterizzano le giornate.
Sue erano le battute migliori, gli scherzi migliori, formidabili per chi viveva in quell’ambiente le sue vignette sui colleghi, continuamente aggiornate con trovate sempre più sottili e pungenti. Si perchè il ricordo che ho di lui è soprattutto questo, il re del cazzeggio, quello che mi divertiva ed affascinava con i suoi viaggi pieni di avventure divertenti, un gran fimminaro, dal fascino irresistibile, divertente ma mai banale, la scintillante intelligenza dietro una sagace irriverenza.
Caro e amato stronzo, sarà per sempre indimenticabile per me quel giorno quando durante l’ennesima pausa raccontasti delle vicende surreali accadute a chi lavorava con un dirigente dalla comprovata propensione iettatoria e giù lì a ridere e citando più volte l’innominato ti alzasti di scatto dalla sedia e la tasca della tua giacca si incastrò sul bracciolo strappandosi. Il tuo volto incredulo, prima interdetto poi stravolto dalla smorfia di una risata fragorosa ed interminabile che contagiò l’intera stanza e chi c’era, me compreso. Le copiose lacrime che sgorgavano per l’irresistibile comicità dell’accaduto qualche tempo dopo tornarono sui nostri volti sconvolti dall’assurda tragicità degli accadimenti.
E si, proprio stronzo, questo me lo devi concedere, perché così senza preavviso una mattina di settembre hai deciso di non venire più in ufficio, per sempre, il giorno prima ciao, come stai, il giorno dopo addio per sempre. Dicono che eri fragile, che eri in cura da uno psicologo, che sentivi forte il vuoto della vita attorno a te, che hai parlato al telefono con tua madre, le hai detto ci vediamo fra un po’, che hai passeggiato il cane, sei tornato a casa e ti sei impiccato con lo stesso guinzaglio. Dicono….loro, che ti conoscevano bene. Io no, io forse non ti conoscevo bene ma sai, mi devi perdonare, sono sempre stato un po’ superficiale.
Avevo fatto finta di niente, la tua visita di fine estate l’avevo relegata ad un semplice attacco di nostalgia, di malinconia cattiva.
Ieri però sei tornato, nuovamente inaspettato, sarà questa strana e tenera atmosfera natalizia mista di gioia e di un velo di tristezza. Così ho cercato su internet ed ho trovato un sito www.fondazionefrancese.org che parla di tuo padre e di te, ho scoperto che quest’anno, il 2 settembre sono passati cinque anni da quel giorno, che hanno pubblicato un libro su di te, che alcuni degli amici e colleghi comuni non ti hanno dimenticato e scrivono di te.
Io, che sono venuto al tuo funerale ed alla messa per il tuo primo anniversario e che pensavo poi di averti dimenticato, ho scoperto che ti voglio ancora bene. Mi piace pensare che quel giorno di fine estate fosse proprio il 2 settembre e che in qualche modo alla celebrazione del tuo anniversario tu mi ci abbia portato.
La parte importante della tua vita, quella della denuncia politica, della lotta alla mafia sicuramente interesserà chi leggendo queste righe vorrà visitare il tuo sito , ma io voglio ricordarti senza retorica, voglio un pensiero di te che sia strettamente legato a me e non omologabile e appropriabile dalla cultura antimafiosa, quella tua fragorosa risata, straordinaria nella sua normalità davanti alla violenza del mondo infame e corrotto.
Per sempre tuo, Davide

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Caro Davide,
un giorno se ne andò così un mio carissimo amico, compagno di scuola dal primo giorno della prima elementare (mi ricordo i suoi occhi grandi, quando mia madre mi disse: siediti qui) fino alla maturità, e poi ancora amico per tutti gli anni dell'università: ci separò prima il servizio militare, e poi la sua scelta di andarsene dal mondo, quindici giorni prima del suo congedo. E' tornato molte volte, in sogno, all'inizio triste e poi sereno, come se fosse in attesa di qualcosa (o di qualcuno); ogni tanto mi ha portato messaggi importanti.
Sono passati trent'anni da quel giorno, ma il tempo non ci ha allontanati. Grazie per la tua scrittura-testimonianza.
Sandro

Sandro

12/12/2007 17:29:24


Molto commovente. Bravo.

Marcello

10/12/2007 09:14:38


Bellissimo articolo.Non conoscevo la storia del figlio di Francese.

Donciccio

09/12/2007 21:38:51


Bravo Davide,articolo bellissimo.

mingo

09/12/2007 20:46:49


 
 

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