Le Confessioni...anzi, le Riflessioni di un Italiano
di Angelo
Ah!, i classici; ricordo sui lignei banchi del liceo (quando entravo) come contavo le ore che mi separavano dalla fine delle spiegazioni della proff sul Manzoni (casto poeta che l’Italia adora ……scrivono gli “scapigliati” di lui) per giungere alla più intrigante letteratura illuministica e, finalmente, al novecento.
Qualche, diciamo qualche, anno fa mi aggiravo per i vicoli di Perugia ed in una piccola libreria aperta la notte cercai qualcosa da leggere; in qualche maniera mi attirò la veste grafica di un libricino, due volumetti, che nonostante fosse indiscutibilmente un classico, decisi di prendere; “Le Confessioni di un Italiano”, stampato in edizione economica, quelle con i caratteri piccolissimi per capirci.
Mi trovavo a Perugia per un impiego “a termine” (il lavoro precario non l’hanno inventato certo ieri), erano i giorni che cadeva il muro di Berlino ma nella stanza che avevo affittato non c’era la televisione e passavo il tempo, tra l’altro, studiando non ricordo quale materia del mio (lungo) corso di laurea e leggendo un po’ quello che mi capitava purché a buon mercato.
Tornando al libricino una sera pensavo di leggere qualche pagina (gli odiati classici di liceale memoria) dopo “cena” ed andare in qualche pub perugino a tirare l’orario di andare al lavoro; ed invece altro che promessi sposi & c.; l’attualità di questo libro la trovai (e la trovo) a tratti sconcertante e quella sera, confesso, rimasi a casa a leggere.
Molti non condivideranno le mie impressioni su un libro che da tanti punti di vista può considerarsi “vecchio” e anche bigotto ma, visti alcuni avvenimenti di questi giorni, ne “offro” qualche rigo alla nostra riflessione. Io ce lo trovo di che riflettere.
Ippolito Nievo, Le Confessioni di un Italiano, Capitolo Ottavo –nel quale si discorre delle prime rivoluzioni italiane, dei costumi della scolaresca padovana, del mio ritorno a Fratta, e della cresciuta gelosia per Giulio del Ponte. Come i morti possono consolar i vivi, ed i furbi convertire gli innocenti. Il padre Pendola affida la mia innocenza all’avvocato Ormenta di Padova. Ma non è oro tutto quello che luce.-
[…]. La patria, figliuol mio, è la religione del cittadino, le leggi sono il suo credo. Guai a chi le tocca! Convien difendere colla parola, colla penna, coll’esempio, col sangue l’inviolabilità de’ suoi decreti, retaggio sapiente di venti, di trenta generazioni! […].
Se no cadremo certamente; cadremo amici e nemici in potere di quei maligni che predicano un’insensata libertà per imporci la vera servitù; la servitù a codici immorali, temerari, tirannici! La servitù alle passioni nostre ed altrui, la servitù dell’anima a profitto di qualche maggior godimento terreno.
Tutto qui.
A presto, Angelo
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