La rabbia del Porcospino
di Attila
I Porcupine Tree con Fear Of A Blank Planet proseguono sulla scia tracciata dal precedente Deadwing. L’album si caratterizza, però, per una sterzata ancora più decisa verso suoni più duri, quasi metal. Ed infatti (forse non a caso), il disco segna il passaggio del quartetto inglese all’etichetta Roadrunner, la casa discografica di gruppi decisamente heavy come Megadeth ed Sepoltura. Sembra quasi che Steven Wilson, il compositore del gruppo, voglia riservare la sua vena più melodica e malinconica per il sodalizio artistico con il musicista israeliano Aviv Geffen che ha dato vita ai Blackfield.
L’anima progressive è, comunque, sempre lì, riveduta e corretta, aggiornata con moderne sonorità, ma sempre presente. E questo non può fare che piacere ai vecchi fans che hanno seguito Steven Wilson e compagni sin dallo psichedelico On The Sunday Of Life del 1993, individuando nei Porcupine Tree gli eredi dei Pink Floyd. Ciò, tuttavia, non significa che il gruppo inglese appartenga alla schiera di quelli che, nati dalle ceneri del progressive anni 70, si sono limitati a scimmiottare l’era d’oro del rock. Al contrario, i Porcupine Tree sono riusciti nell’ardua impresa di coniugare il classico progressive con altri generi, ottenendo un suono moderno e composizioni stimolanti.
L’analisi dell’album parte dalla copertina. Lo sguardo inquietante di un bambino bluastro preannuncia le atmosfere cupe e gelide che, alternate ad altre più distese e melodiche, caratterizzano l’intero disco. Del resto, il sound, ora incalzante e rabbioso, ora dolce e malinconico, è in linea con il tema affrontato nei testi di Wilson ovvero quello dell’alienazione dei giovani di oggi. Si tratta di una analisi critica della società moderna, in cui l’evoluzione mediatica e tecnologica incide negativamente sulle nuove generazioni: i mezzi tecnologici diventano gli unici compagni di gioco dei giovani, ormai costretti all’incapacità comunicativa ed allo sfogo violento delle proprie emozioni.
Tecnicamente si tratta di un disco come al solito perfetto, impeccabile sotto ogni punto di vista. L’infinitesimale cura del dettaglio è supportata da una maestria esecutiva di tutti i componenti del gruppo. Da sottolineare le percussioni di Gavin Harrison che può a giusto titolo essere annoverato tra i batteristi migliori in circolazione.
Fear Of A Blank Planet si apre con la traccia omonima, un brano incalzante e trascinante che rompe subito il ghiaccio (il video, che potete vedere in fondo alla recensione, è un vero pugno nello stomaco).
My Ashes e Sentimental richiamano le atmosfere tipiche dei Porcupine Tree acustici, pezzi molto eleganti che ricordano le ballate di Stupid Dream e In Absentia.
Il brano che meglio inquadra il disco è Anesthetize che con i suoi 17 minuti rappresenta una suite ben strutturata, un mix di diversi generi musicali (tra gli altri un inusuale intermezzo thrash metal) in cui l’elettronica anche se in dosi massicce non invade troppo il campo. Sicuramente il brano più interessante e coinvolgente.
Way Out Of Here rappresenta un buon connubbio tra grande melodia e giusta dose di potenza. Di rilievo l’attacco che arriva inaspettato dopo i primi minuti lenti e melodici.
Il disco si chiude così come era cominciato con Sleep Together, brano dignitoso permeato da un’aria tetra di eterna attesa che mi è piaciuto soprattutto nelle parti orchestrali della seconda parte.
Buon ascolto!
LINE UP:
Steven Wilson - Voce, chitarra, pianoforte
Richard Barbieri - Tastiera, synth
Colin Edwin - Basso
Gavin Harrison – Batteria
TRACKLIST:
1. Fear of a Blank Planet (07:28)
2. My Ashes (05:07)
3. Anesthetize (17:42)
4. Sentimental (05:26)
5. Way Out of Here (07:37)
6. Sleep Together (07:28)
VOTO:
8/10
SITI CORRELATI:
- Sito ufficiale Porcupine Tree
- Per ascoltare Fear Of A Blank Planet
- Sito ufficiale Blackfield
ALBUM PRINCIPALI:
- The Sky Moves Sideways (1995)
- Coma Divine (1997)
- Stupid Dream (1999)
- In Absentia (2002)
- Deadwing (2005)
ALTRE RECENSIONI NEL SITO:
- Pink Floyd - The Dark Side Of The Moon
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