I miei Sessanta
di Roberto Alajmo
Il primo ricordo della mia vita è facilmente
databile: mi trovavo seduto sul tavolo del salotto mentre mia madre cercava di
farmi indossare calze e scarpe. Alla mia sinistra il televisore sta
trasmettendo le olimpiadi. Lo so perché gliel'ho chiesto: cosa sono queste,
mamma? Risposta: le olimpiadi. Dunque: olimpiadi di Tokio, 1964. Ciò significa
che praticamente quasi tutta la prima metà degli anni sessanta, per quanto mi
riguarda, è andata sprecata. O meglio: è finita in quell'immenso accumulatore
rappresentato dall'infanzia smemorata, i primi anni della nostra vita di cui
non ricordiamo niente ma che pure così importanti risultano per la nostra
formazione individuale. Traumi, talenti, risorse e punti deboli traggono
origine da quei quattro o cinque anni di cui sappiamo solo quel che ci
raccontano nonni e genitori.
Appurato questo, non è che invece della seconda metà degli anni sessanta, io
riesca a ricordare molto di più. Per dire: quando mi sono accorto dei Beatles
già non esistevano più. Dissolti, puf, in uno sbuffo di allucinogeni. Quel
fatidico decennio, per quanto mi riguarda, è più Popoff e Quarantaquattro
gatti che Help e Ticket to Ride. Per dire: arriva prima
Gianni Morandi a citarli (Help e Ticket to ride, appunto, e Lady
Jane, e Yesterday) che loro a farsi presenti in prima persona.
Almeno al sottoscritto, arriveranno con tutto comodo, addirittura nei primi
anni settanta, attraverso l'interessamento di una fanciulla più aggiornata, di
quelle che ti costringono ad aggiornarti a tua volta. E apprendere, per
esempio, che Lady Jane, malgrado il titolo e l'andamento beatlesiani,
non era affatto una canzone dei Beatles. Se fosse dipeso da me, avrei rinviato
la consapevolezza, e sarei rimasto ancora un bel pezzo a collezionare bisvalide
e trisvalide.
Quel che segue è un elenco incompleto di altre cose che per quanto mi riguarda
contavano di gran lunga più dei Beatles, che al momento non contavano affatto:
- Respirare l'odore dei calzoni fritti di Alagna, a Valdesi.
- Non perdere nemmeno una lezione del pittore Buendia, a Giocagiò.
- Giocare con il pupazzo Amico Jackson. (Imitazione di Big Jim, ma più
piccolo, fabbricato dalla ditta Baravelli. La confezione base prevedeva tuta
blu e scarponi neri, ma era disponibile anche la versione da alta montagna, con
tuta da neve, sci e racchette).
- Mangiare ogni giorno almeno un ascaretto pralinato Moreno
dell'Eldorado, la cui pubblicità televisiva era un cartone animato di Cocco
Bill.
- Convincere i miei genitori a comprarmi ogni anno un nuovo astuccio sagomato
di forma ameboidale, per contenere penne e matite. Quelli di marca Regis erano:
Provolino, BC, Tarzan, Zorro, Pinocchio, Walt Disney e Motocross.
- Possedere una pista Polistil con relative macchinette Policar, pubblicizzate
su Topolino da Paola Pitagora ("Capita a chi Policar").
- Convincere gli amici a sostituire le biglie di plastica per le competizioni
ciclistiche da spiaggia con quelle sfere misteriose e perfette che si trovavano
sulla sabbia, fatte di poseidonia seccata.
- Tornare a casa la domenica pomeriggio in tempo per vedere il Braccobaldo
Show ("Ci siete tutti? Siamo tutti qui, e tutti insieme vogliam vedere
Braccobaldo Show!)
- Evitare i Calendarietti che a partire da ottobre regalavano i barbieri:
avevano un cordoncino rosso tutto elegante, ma facevano venire il mal di testa
da quanto erano profumati.
- Giocare coi chiodini marca Coloredo, con relative lavagnette di diverse
misure. Sulle lavagnette si mettevano i piolini multicolori in modo da formare
le figure che poi si potevano smantellare per ricominciare daccapo.
- Aggiudicarmi una Cicocca, casetta di cartone in regalo coi punti del
Brioss Ferrero. Testimonial: Sandro Mazzola.
- Evitare che il Corriere dei Piccoli, tramite referendum fra i lettori
si trasformasse in Corriere dei Ragazzi. Cosa che puntualmente avvenne.
- Non perdere neppure un numero delle Fiabe Sonore: 45 giri più opuscolo
illustrato, lire 480. ("A mille ce n'è / nel mio cuore di fiabe da
narrar…).
- Non andare a scuola, rimanere in casa la mattina degli ultimi giorni di maggio,
quando c'era la Fiera
del Mediterraneo: in quel periodo, e solo per la zona di Palermo, trasmettevano
dei film che cominciavano alle 10 di mattina.
- Restare sveglio abbastanza per vedere Giochi senza Frontiere.
- Collezionare le medaglie Volistoria Shell. Facendo benzina regalavano ogni
volta una moneta commemorativa della storia dell'aviazione. Dai fratelli Wright
all'Apollo 11. Bisognava riporle nei fori di un raccoglitore color amaranto, ma
se riuscivi a farcele entrare, rimanevano incastrate e non venivano più via.
- Raccogliere il maggior numero possibile di paracadutini pubblicitari Galbani
lanciati la domenica pomeriggio sulla spiaggia da un aereo che passava e
ripassava trascinando uno striscione.
- Trovare con ogni mezzo i mattoncini lunghi della Plastic City, di gran
lunga migliori di quelli della Lego, almeno per costruire la canna delle
pistoline finte.
- Collezionare i pupazzetti adesivi sagomati che si trovavano nelle confezioni
da quattro del formaggino Mio.
- Riuscire a fare prima o poi una rovesciata perfettissma come quella di Tanino
Troja contro il Genoa.
- Ricordarmi ogni volta se Salgari si dice Sàlgari o Salgàri.
- Comprare di nascosto gli occhiali a raggi x per vedere attraverso i muri e le
gonne femminili. La ditta Same li pubblicizzava sulle pagine dell'Intrepido.
Anche la crema per sviluppare i muscoli non era male.
- Riuscire a far funzionare il razzetto Superbum, quello rosso, che si
lanciava e ricadeva sulla punta. Toccando terra avrebbe dovuto fare il botto,
ma non succedeva quasi mai.
- Distinguere Lina Volonghi da Anna Campori, interprete di Giovanna, la
nonna del Corsaro Nero.
- Possedere una trottola Wizzler, avveniristica, per metà trasparente e
per metà colorata, in grado di rimanere in equilibrio sugli spigoli o su un
filo. Si lanciava mediante sfregamento consecutivo della punta di gomma.
Infine, last but not least:
- Convincere Sylvie Vartan a lasciare Johnny Halliday per mettersi con me.
Questa incompleta lista di priorità lascia intuire come e quanto - sospetto:
non solo per il sottoscritto - gli anni sessanta rappresentino una riserva di
energia, una pila atomica a lunga persistenza, che continuerà a produrre
energia ancora per chissà quanto tempo. Quel periodo è una nebulosa infantile,
fitta di suggestioni da scongelare e consumare con calma, nell'arco di tutta
l'adolescenza, e anche oltre.
I Beatles, assieme a quell'intero decennio, somigliano a stelle che anche dopo
essere esplose e scomparse, continuano ad emanare luce per milioni di anni.
Quelle già da un pezzo hanno smesso di esistere, e noi ancora stiamo a
guardarle in preda a una grande densità di pensiero.
Tratto su gentile concessione dell'Autore dal blog di Roberto Alajmo
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