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25 giugno 2008

Davide's speakers corner: la voce delle coscienze - IL NUMERO 23

di Davide



Hai saputo. Ha un brutto male.

Più o meno è questa la frase che generalmente si usa, tra conoscenti, colleghi o comunque appartenenti a frequentazioni comuni per indicare che anche questa volta l’hai scampata bella.

Il tuo numero non è uscito sulla roulette della vita.

E in questo caso per te è una buona notizia.

Così spesso l’ombra della sofferenza ci passa accanto, sfiorandoci.

Sei il numero 23 ed è uscito il 22.

La sensazione è sempre la stessa. Un brivido gelido, la pallina che arriva, il rumore sempre più vicino. Tac Tac, man mano che rallenta sempre più forte. Gli occhi si sgranano, il respiro si fa ansimante fino a bloccarsi. 19, 20, 21, 22 e…..tac. Fiu, salvo.

Ma che peccato per il 22, magari è il tuo collega di stanza oppure quello a cui hai fatto un mese prima il regalo per la nascita della figlia, quello stronzo a cui chiedi il materiale di cancelleria e che ti fa aspettare sadicamente, quello che normalmente eviti in ascensore e che pensi “….che coglione”.

Poi però te ne penti, pensi di essere stato troppo cinico, poveretto. Quando lo incontri non sai che fare, continuare ad ignorarlo o cercare di essere gentile. Ma sarebbe diverso dal solito, lui capirebbe, ti senti molto a disagio. Ecco è così che ci si sente davanti alla sofferenza, alla malattia. Fortemente a disagio. Non si sa che fare, eppure qualcosa da fare, magari piccola c’è sempre. Un gesto, a volte una parola, ma spesso anche qualcosa di concreto.

Così sette anni fa, in ufficio, la frase ricorrente.

Hai sentito. Sta male. Ha quel brutto male….la leucemia (detto sottovoce). Ma chi? Si lei, proprio lei. Quella alta. Quella del settimo piano, con i capelli corti, neri, una bella donna. Che peccato, sai ha anche due figli piccoli. Mah….che schifo….Ah, hanno detto di cercare qualcono che vuole donare le cose…..le…le….piastrine, in ospedale al Cervello.

Le piastrine. Mah, donare il sangue si, ma le piastrine..e come si fa.

Così scopro (ammazza che ignoranza) che del sangue non si butta via niente e che a seconda delle malattie servono le sue diverse componenti.

Che tecnicamente il procedimento di donazione delle piastrine si chiama aferesi e che avviene attraverso una macchina che è poi una specie di centrifuga, insomma un frullatore un po’ più complesso che permette di separare tutte le diverse componenti del sangue prelevato, dal plasma alle piastrine appunto. Non bisogna avere una dote particolare, si tratta di una normale donazione senza nessuna particolare controindicazione. All’inizio ti fanno un piccolo prelievo e un emocromo rapido, un esame del sangue light che dice come stai e quante piastrine hai. Se sei particolarmente “ricco”, sopra le 300 mila, magari puoi fare una “doppia sacca”. No, niente paura, è meno inabilitante di una donazione del sangue perché tranne le piastrine, quello che tolgono te lo ridanno. Infatti se sei a posto, adesso, dopo averti offerto una buona colazione (cornetti caldi caldi ai vari gusti dal bar vicino, cappuccino, succhi di frutta, caffè…) ti puoi accomodare su una grande poltrona, di quelle reclinabili; ti “attaccano” alla macchina grazie ad un ago leggermente più grosso di uno da “normale” prelievo dal quale prima ti ciucciano il sangue poi dopo una bella centrifugatina te lo ridanno senza un po’ di piastrine ma arricchito con della soluzione fisiologica e un pochino di anticoagulante. L’unico fastidio è, oltre a dovere stare fermo per un’ora e mezza, a volte una sensazione mentolata e refrigerante sulle labbra e alla bocca dello stomaco dovuto all’anticoagulante alla quale si ovvia con del calcio o direttamente in vena o “a bere”.

E per me è stata una piacevole sorpresa. Chi della mia generazione da piccolo non ha assaggiato il Calcium Sandoz, la pasticca effervescente a base di calcio, dallo strano e indimenticabile sapore salaticcio. Ecco, esiste ancora. Quarant’anni e passa di onorata carriera. A me è sempre piaciuto (eh lo so, ognuno ha le proprie perversioni……) e ancora oggi concludo la mia donazione con un bel bicchiere di acqua gelata ed effervescente con quell’indimenticabile sapore salaticcio.

Alla fine dei sette cicli di carico e scarico la sacca sopra di me si riempie di liquido denso e di un giallo miele intenso. Sono le mie piastrine. Negli anni a seguire da quel primo giorno purtroppo ho visto quelle sacche più volte “nutrire” braccia malate per le quali quell’oro giallo e liquido è la speranza di un giorno migliore. E quante volte ho incontrato o magari solamente incrociato volti smunti e logori dalla malattia, con mascherine, fazzoletti e cappellini a coprire pudicamente i segni delle cure. A volte, in passato quando non c’era distinzione tra i reparti, ho donato accanto a chi, malato, faceva la sua terapia. All’inizio il disagio era tanto, un gran senso di imbarazzo, di impotenza, di inadeguatezza, poi, pian piano sono riuscito ad incontrare quello sguardo e a rispondere con un abbozzato sorriso anche un po’ stentato e vederlo ricambiato ha rotto l’incantesimo, ha dissolto l’enorme muro che ci divideva e ci ha fatto riconoscere nella nostra uguale fragilità umana; è terapeutico non avere la possibilità di girasi dall’altra parte, di guardare altrove, di non potere cambiare canale. Aiuta a ginnasticare cervello e cuore, a pensare in sintonia con i sentimenti e ricordarsi sentimentale e non sentimentalista. Niente buonismo posticcio e correttamente politico ma semplice e banale bontà. Riscoprirsi parte di qualcosa, magari solamente per due ore ogni tanto, tornare ad avere una visione di insieme, complessiva, cancellata brutalmente dalla velocità e dall’autoreferenzialità dei nostri tempi e dal modello della nostra società.

Quante banalità e retorica in queste parole ma quanta, tanta verità. Sembra una pagina da libro cuore, strappalacrime, una “napoletanata”, ma non è così e, nel mio caso, soprattutto, ha un lieto fine.

Quella collega oggi sta meglio di prima, ormai sono passati sette anni ed è clinicamente guarita, per sempre, e quando ogni estate la incontro a mare non posso fare a meno di pensare a quei giorni terribili, durante i quali una quasi sconosciuta è divenuta una delle “motivazioni” e dei pensieri ricorrenti delle mie giornate.

Ognuno ha un suo libro e, quindi, una sua storia e purtroppo non sempre finisce bene.

Comunque io da allora non ho più smesso di donare le mie piastrine solamente che ora anzicchè dedicarle ad una sola persona le regalo a chi le vuole.

Certo di norma non sono tantissime e quindi mi limito alla sola sacca, ma mi consolo credendo che sia la qualità a fare la differenza e che le mie piastrine un giorno saranno esposte presso un museo delle scienze come esempio di standard ineguagliabile.

Ho incontrato tanti nuovi amici, donatori, infermieri e medici che affrontano la sofferenza ed il male spesso con il sorriso e la leggerezza di chi ha di fronte ogni giorno un nemico fortissimo e spesso imbattibile contro il quale usare ogni arma e risorsa a disposizione, e spesso non è la sola medicina; a volte leggo nei loro occhi la stanchezza ed il dolore, il peso delle vicende personali, ma poi basta una battuta, un sorriso e tutto svanisce. Quando vai via ti ringraziano, ti abbracciano e baciano, ti fanno sentire importante, magari più di quanto senti di esserlo durante le giornate passate in ufficio e comunque, certamente di più di quanto meriti.

Ogni due – tre mesi aspetto con ansia la telefonata di Sabrina, che lavora in amministrazione, per fissarmi l’appuntamento per la donazione a cui vado non con entusiasmo e puntualità non perché penso che ne abbiano bisogno altri ma perché sento di averne bisogno io, perché mi fa star bene.

La vita è davvero misteriosa, in certe sue vicende inspiegabili, nel suo essere manifestazione di un progetto di cui ci sfugge la logica perché illeggibile ed inspiegabile attraverso gli occhi di semplici esseri umani, profondamente ingiusta e, a volte, terribilmente logica e consequenziale nei suoi esiti.

Esserne consapevoli affrontandola spesso con volontaria incoscienza fa parte della nostra esistenza, della nostra convivenza; l’effetto domino delle nostre vite, le collisioni delle nostre vicende, apparentemente casuali, costituiscono occasioni di modificazioni e cambiamenti a volte umanamente epocali sempre che le si voglia cogliere piuttosto che continuare a distogliere lo sguardo verso priorità posticce e falsamente consolatorie. Carpe diem, sperando, credendo in piena coscienza, di essere sempre e per sempre il numero 23.

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Io non posso donare perché sono anemica. Ma l'anno scorso una mia collega - entrata di ruolo insieme a me - si è ammalata di un brutto male, come lo chiami tu, e aveva il desiderio di superare l'anno di prova comunque. Il preside e la segreteria si sono messi a disposizione per fare il conto dei giorni che le erano necessari per poter avere i requisiti minimi, io che stavo facendo lo stesso percorso l'ho aiutata a preparare i lavori da consegnare e la tesina per l'esame finale. Molti colleghi hanno fatto quello che potevano, per starle vicino, per aiutarla se vava bisogno. Sua sorella si è sposata prima del previsto.
Poi, lei se ne è andata: aveva preso il numero 22 tondo tondo.
Mi hai fatto pensare a lei, e anche per lei è questo tuo bel post.

Daniela

25/06/2008 16:09:16


Quante volte mi sono detto:beh, vado a donare il sangue...e poi mi sono fermato per motivi più o meno improrogabili. Spero che questa sia la spinta buona.Però bravo ad essere riuscito a trattare quest'argomento senza nessuna retorica.

Mingo

25/06/2008 08:55:23


 
 

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