Davide's speakers corner: la voce delle coscienze - IL NUMERO 23
di Davide
Hai saputo. Ha un brutto male.
Più o meno è questa la frase che
generalmente si usa, tra conoscenti, colleghi o comunque appartenenti a
frequentazioni comuni per indicare che anche questa volta l’hai scampata bella.
Il tuo numero non è uscito sulla
roulette della vita.
E in questo caso per te è una
buona notizia.
Così spesso l’ombra della sofferenza ci passa accanto, sfiorandoci.
Sei il numero 23 ed è uscito il
22.
La sensazione è sempre la stessa.
Un brivido gelido, la pallina che arriva, il rumore sempre più vicino. Tac Tac,
man mano che rallenta sempre più forte. Gli occhi si sgranano, il respiro si fa
ansimante fino a bloccarsi. 19, 20, 21, 22 e…..tac. Fiu, salvo.
Ma che peccato per il 22, magari
è il tuo collega di stanza oppure quello a cui hai fatto un mese prima il
regalo per la nascita della figlia, quello stronzo a cui chiedi il materiale di
cancelleria e che ti fa aspettare sadicamente, quello che normalmente eviti in
ascensore e che pensi “….che coglione”.
Poi però te ne penti, pensi di
essere stato troppo cinico, poveretto. Quando lo incontri non sai che fare,
continuare ad ignorarlo o cercare di essere gentile. Ma sarebbe diverso dal
solito, lui capirebbe, ti senti molto a disagio. Ecco è così che ci si sente
davanti alla sofferenza, alla malattia. Fortemente a disagio. Non si sa che
fare, eppure qualcosa da fare, magari piccola c’è sempre. Un gesto, a volte una
parola, ma spesso anche qualcosa di concreto.
Così sette anni fa, in ufficio,
la frase ricorrente.
Hai sentito. Sta male. Ha quel
brutto male….la leucemia (detto sottovoce). Ma chi? Si lei, proprio lei. Quella
alta. Quella del settimo piano, con i capelli corti, neri, una bella donna. Che
peccato, sai ha anche due figli piccoli. Mah….che schifo….Ah, hanno detto di
cercare qualcono che vuole donare le cose…..le…le….piastrine, in ospedale al
Cervello.
Le piastrine. Mah, donare il
sangue si, ma le piastrine..e come si fa.
Così scopro (ammazza che
ignoranza) che del sangue non si butta via niente e che a seconda delle
malattie servono le sue diverse componenti.
Che tecnicamente il procedimento
di donazione delle piastrine si chiama aferesi e che avviene attraverso una
macchina che è poi una specie di centrifuga, insomma un frullatore un po’ più
complesso che permette di separare tutte le diverse componenti del sangue
prelevato, dal plasma alle piastrine appunto. Non bisogna avere una dote
particolare, si tratta di una normale donazione senza nessuna particolare
controindicazione. All’inizio ti fanno un piccolo prelievo e un emocromo
rapido, un esame del sangue light che dice come stai e quante piastrine hai. Se
sei particolarmente “ricco”, sopra le 300 mila, magari puoi fare una “doppia
sacca”. No, niente paura, è meno inabilitante di una donazione del sangue
perché tranne le piastrine, quello che tolgono te lo ridanno. Infatti se sei a
posto, adesso, dopo averti offerto una buona colazione (cornetti caldi caldi ai
vari gusti dal bar vicino, cappuccino, succhi di frutta, caffè…) ti puoi
accomodare su una grande poltrona, di quelle reclinabili; ti “attaccano” alla
macchina grazie ad un ago leggermente più grosso di uno da “normale” prelievo
dal quale prima ti ciucciano il sangue poi dopo una bella centrifugatina te lo
ridanno senza un po’ di piastrine ma arricchito con della soluzione fisiologica
e un pochino di anticoagulante. L’unico fastidio è, oltre a dovere stare fermo
per un’ora e mezza, a volte una sensazione mentolata e refrigerante sulle
labbra e alla bocca dello stomaco dovuto all’anticoagulante alla quale si ovvia
con del calcio o direttamente in vena o “a bere”.
E per me è stata una piacevole
sorpresa. Chi della mia generazione da piccolo non ha assaggiato il Calcium
Sandoz, la pasticca effervescente a base di calcio, dallo strano e
indimenticabile sapore salaticcio. Ecco, esiste ancora. Quarant’anni e passa di
onorata carriera. A me è sempre piaciuto
(eh lo so, ognuno ha le proprie perversioni……) e ancora oggi concludo la mia
donazione con un bel bicchiere di acqua gelata ed effervescente con quell’indimenticabile
sapore salaticcio.
Alla fine dei sette cicli di
carico e scarico la sacca sopra di me si riempie di liquido denso e di un
giallo miele intenso. Sono le mie piastrine. Negli anni a seguire da quel primo
giorno purtroppo ho visto quelle sacche più volte “nutrire” braccia malate per
le quali quell’oro giallo e liquido è la speranza di un giorno migliore. E
quante volte ho incontrato o magari solamente incrociato volti smunti e logori
dalla malattia, con mascherine, fazzoletti e cappellini a coprire pudicamente i
segni delle cure. A volte, in passato quando non c’era distinzione tra i
reparti, ho donato accanto a chi, malato, faceva la sua terapia. All’inizio il
disagio era tanto, un gran senso di imbarazzo, di impotenza, di inadeguatezza,
poi, pian piano sono riuscito ad incontrare quello sguardo e a rispondere con un
abbozzato sorriso anche un po’ stentato e vederlo ricambiato ha rotto
l’incantesimo, ha dissolto l’enorme muro che ci divideva e ci ha fatto
riconoscere nella nostra uguale fragilità umana; è terapeutico non avere la
possibilità di girasi dall’altra parte, di guardare altrove, di non potere
cambiare canale. Aiuta a ginnasticare cervello e cuore, a pensare in sintonia
con i sentimenti e ricordarsi sentimentale e non sentimentalista. Niente
buonismo posticcio e correttamente politico ma semplice e banale bontà.
Riscoprirsi parte di qualcosa, magari solamente per due ore ogni tanto, tornare
ad avere una visione di insieme, complessiva, cancellata brutalmente dalla
velocità e dall’autoreferenzialità dei nostri tempi e dal modello della nostra
società.
Quante banalità e retorica in
queste parole ma quanta, tanta verità. Sembra
una pagina da libro cuore, strappalacrime, una “napoletanata”, ma non è così e,
nel mio caso, soprattutto, ha un lieto fine.
Quella collega oggi sta meglio di
prima, ormai sono passati sette anni ed è clinicamente guarita, per sempre, e
quando ogni estate la incontro a mare non posso fare a meno di pensare a quei
giorni terribili, durante i quali una quasi sconosciuta è divenuta una delle
“motivazioni” e dei pensieri ricorrenti delle mie giornate.
Ognuno ha un suo libro e, quindi,
una sua storia e purtroppo non sempre finisce bene.
Comunque io da allora non ho più
smesso di donare le mie piastrine solamente che ora anzicchè dedicarle ad una
sola persona le regalo a chi le vuole.
Certo di norma non sono
tantissime e quindi mi limito alla sola sacca, ma mi consolo credendo che sia
la qualità a fare la differenza e che le mie piastrine un giorno saranno
esposte presso un museo delle scienze come esempio di standard ineguagliabile.
Ho incontrato tanti nuovi amici,
donatori, infermieri e medici che affrontano la sofferenza ed il male spesso
con il sorriso e la leggerezza di chi ha di fronte ogni giorno un nemico
fortissimo e spesso imbattibile contro il quale usare ogni arma e risorsa a
disposizione, e spesso non è la sola medicina; a volte leggo nei loro occhi la
stanchezza ed il dolore, il peso delle vicende personali, ma poi basta una
battuta, un sorriso e tutto svanisce. Quando vai via ti ringraziano, ti
abbracciano e baciano, ti fanno sentire importante, magari più di quanto senti
di esserlo durante le giornate passate in ufficio e comunque, certamente di più
di quanto meriti.
Ogni due – tre mesi aspetto con
ansia la telefonata di Sabrina, che lavora in amministrazione, per fissarmi
l’appuntamento per la donazione a cui vado non con entusiasmo e puntualità non
perché penso che ne abbiano bisogno altri ma perché sento di averne bisogno io,
perché mi fa star bene.
La vita è davvero misteriosa, in
certe sue vicende inspiegabili, nel suo essere manifestazione di un progetto di
cui ci sfugge la logica perché illeggibile ed inspiegabile attraverso gli occhi
di semplici esseri umani, profondamente ingiusta e, a volte, terribilmente
logica e consequenziale nei suoi esiti.
Esserne consapevoli affrontandola
spesso con volontaria incoscienza fa parte della nostra esistenza, della nostra
convivenza; l’effetto domino delle nostre vite, le collisioni delle nostre
vicende, apparentemente casuali, costituiscono occasioni di modificazioni e
cambiamenti a volte umanamente epocali sempre che le si voglia cogliere
piuttosto che continuare a distogliere lo sguardo verso priorità posticce e
falsamente consolatorie. Carpe diem, sperando, credendo in piena coscienza, di
essere sempre e per sempre il numero 23.
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