Storia semiseria e disordinata della canzone italiana da Sanremo in poi - 27 - La tragedia di Tenco
di Dario Cordovana
Inutile girare intorno alla questione: parlare del Festival di Sanremo 1967 vuol dire parlare della più grande tragedia avvenuta in una manifestazione di musica leggera nel nostro paese, il suicidio di Luigi Tenco. Su questo argomento si sono scritti dei libri, quindi proviamo ad affrontarlo da un’altra angolazione. Quali reali possibilità aveva Luigi Tenco di arrivare in finale con “Ciao amore, ciao” in quella prima serata del Festival? Quella prima serata vede ai nastri di partenza ben 15 canzoni contro le 13 dell’anno precedente. Le canzoni ammesse direttamente alla finale sono però soltanto 6 come l’anno precedente; la settima viene ripescata da una apposita commissione composta dai giornalisti Lello Bersani e Ugo Zatterin, dal presidente dell’Ata avv.Bertolini, dal direttore artistico del Festival Gianni Ravera, dal regista Lino Procacci e da Sandro Delli Ponti. Non c’erano ancora Magalli e la Parietti, ma sulla competenza in materia di alcuni di questi componenti della commissione ci sarebbe qualcosa da eccepire. Era più facile quindi essere estromessi dalla finale che accedervi, e quindi le clamorose esclusioni erano dietro l’angolo (ricordiamo che la seconda esecuzione della canzone di Tenco era affidata ad una vedette come Dalida). Non ce la fa Modugno che aveva vinto l’edizione dell’anno precedente, resta fuori Bobby Solo che aveva vinto due anni prima e stessa sorte subisce Fred Bongusto, vincitore del Disco per l’estate 1966. Quindi non bastava il grosso nome per la finale. Quali canzoni approdano in finale? L’orecchiabile “E allora dai” di Giorgio Gaber, “La musica è finita” cantata da Ornella Vanoni e Mario Guarnera (un brano bellissimo che verrà ripreso da Mina), “L’immensità”, nell’esecuzione di Johnny Dorelli e del suo autore Don Backy, del quale diverrà il brano più noto in assoluto, “Proposta” dei Giganti che si piazzerà al terzo posto assoluto, “Quando dico che ti amo” un gradevole motivetto retrò di Tony Renis, cantato da Annarita Spinaci e dai simpatici Les Surfs del Madagascar, un brano che sfiorerà la vittoria al Festival ed infine la famigerata (famigerata perché citata nel biglietto di Tenco ritrovato quella stessa sera dopo la tragedia) “Io, tu e le rose”, un brano senza infamia e senza lode cantato con la solita bravura da Orietta Berti, ma perfettamente costruito per il Festival e del quale comunque non si può dire (Tenco o non Tenco) che sia rimasto anonimo. E qui veniamo alla canzone ripescata: obbiettivamente si poteva fare di più. La commissione (pare più che altro per le pressioni esercitate da Ugo Zatterin) si orienta su “La rivoluzione” della coppia Gianni Pettenati e Gene Pitney, un brano tutt’altro che rivoluzionario, anzi un’innocua marcetta in stile “volemose bene”. Lello Bersani in particolare si dirà indignato, e poi a lui toccherà dare al telegiornale il resoconto della tragedia di Tenco (“Vi rendete conto? Tutto questo ad un Festival di canzoni, un Festival di canzoni!”). Certo è un peccato che sia rimasta fuori “Ciao amore, ciao”. Ma bisogna dire che anche l’esclusione di “C’è chi spera” di Riki Maiocchi (poco aiutato dalla molto approssimativa pronuncia italiana di Marianne Faithfull, allora compagna di Mick Jagger dei Rolling Stones) grida vendetta. Anche “Non prego per me”, la prima partecipazione – come autore – al Festival di Lucio Battisti e affidata ad un giovanissimo Mino Reitano e agli Hollies di Graham Nash averbbe meritato miglior sorte. “Canta ragazzina” (Bobby Solo e Connie Francis) venne invece poi ripresa da Mina, una che delle classifiche del Festival se ne infischiava…ah, dimenticavo. Nemmeno la canzone di Modugno era male, ma aveva due handicap: il titolo (“Sopra i tetti azzurri del mio pazzo amore”…!) e la seconda esecuzione, dapprima affidata al francese Christophe e poi all’ultimo momento passata all’ultimo esponente del club “amici di Franchina”: Gidiuli…
Luigi Tenco: Ciao amore ciao - festival di sanremo 1967
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