THAILANDIA VERDE E OSPITALE
di Fra' Domenico Spatola
Bangkok ci accolse con la garanzia che tutto sarebbe scivolato tranquillo. Il “Gruppo” era di undici, con bagagli per affrontare cultura e clima fino all’ultimo momento imprecisati. «Piove...? fa caldo...? sono monsoni o alisei?» Avevamo perciò, con tipica mentalità occidentale, tentato di pianificare anche l’imprevisto. L’aeroporto, immenso e frenetico, fu luogo del primo impatto con la grande metropoli. Vetrine e negozi, in sequenza interminabile, diedero subito l’idea di ricchezza della Città internazionale e di snodo per i traffici intercontinentali. La Guida previde per noi da subito la visita del “Palazzo Reale” e degli annessi edifici, e poi quella inesausta di una teoria interminabile di templi e di monumenti religiosi, conici o a punta di pannocchia, protesi come in preghiera verso il cielo, e tutti rigorosamente dedicati a Budda, raffigurato in statue sontuose, vistosamente dorate e in ogni posa, a rappresentazione del quotidiano e della spiritualità dei suoi fedeli. Anche se Budda non viene dichiarato “dio” (il Buddismo perciò non è una religione), tuttavia la gente lo venera offrendo a lui, dovunque e non solo nei templi, come a divinità, l’incenso insieme ai doni d’ogni genere, per propiziarne la benevolenza. La visita alla “Venezia d’Oriente”, come viene chiamato il “Mercato galleggiante” di Bangkok, ubicato alla confluenza di una fitta rete di innumerevoli canali d’acqua percorribili su canoe leggere e veloci, costituisce la meta di attrazione indimenticabile. Mista e variegata è l’impressione, visiva e olfattiva, che deriva dal connubio di un compassato modello squisitamente orientale, più contemplativo e senza tempo, con la vivacità sbrigativa a beneficio affaristico dei turisti occidentali, frettolosi e in ansia per il tempo mai bastante. A Kanchanaburi, furono meta il “Ponte sul fiume Kwai”, immortalato dall’omonimo e noto film a ricordare una vicenda dolorosa della Seconda Guerra mondiale, e l’annesso campo di prigionia con cimeli e fotografie che testimoniano strazianti scene di un passato di cui l’Umanità non potrà andare fiera. Ad Ayuthaya, antica capitale fondata nel 1350, i templi e il sito archeologico testimoniano culture diverse e sopraggiunte con le varie dominazioni tribali avvicendatesi nel tempo. Tutti i siti religiosi confermano la forza unificante della religiosità dell’animo thailandese, che si manifesta anche nella corale partecipazione con cui l’intero Popolo, da Nord a Sud, si sperimenta unito non rinnegando ferite di un passato ancora retrivo e in qualche caso preistorico (in alcune zone del Nord) e coniugandolo a un presente avveniristico e a volte apparendo anche azzardato, per lungimiranza tecnologica e di prospettive. Il tempo concesso si rivelò comprensibilmente breve e sufficiente solo per un assaggio di quella cultura paradossale e degli immensi spazi del territorio appena ferito dai nastri d’asfalto a cucire le distanze nella variegata e interminabile vegetazione da clima tropicale. Stupefacente infatti è la natura esplosiva a dissenso con l’uomo che altrove oppone sue prioritarie esigenze di opportunismo e convenienza. In Thailandia meraviglia il miracolo della vita, mai precaria e lussureggiante nel connubio di fiumi e foreste. Addita spazi di sogno, in bellezze a incanto, il panorama d’altri mondi a specchio di quelli interiori e a fantasia d’infanzia. La Thailandia racconta bellezze naturali e aspettative di futuro che il suo Popolo trasmette con la irresistibile forza del sorriso, che mai ci è sembrato ingannevole, e con la parola, in toni modulati quasi a canto e mai sguaiati, quasi a sussurro per il cuore. Enigmi per l’Occidente, spesso prevaricatore, e sensazioni ritenute esportabili da quel Mondo discreto a svelarsi, eppur seducente per simpatia innata e discorsiva in crescente speranza di benessere che ospitalità garantisce, attenzionando fratellanza tra i Popoli, senza alternative ai valori che attengono all’intera Umanità, libertà compresa.
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